20 novembre 2019 18:15

1. The Kinks, Victoria
Quando nel 1969 la band britannica pubblicò il doppio album Arthur (or the decline and fall of the British empire), venne coccolata dalla critica ma ebbe scarso successo commerciale. Quarant’anni dopo è un disco di culto e il suo tema centrale, sospeso tra l’ironico e il nostalgico, è perfetto per i tempi della Brexit. Anche il singolo è tutto un rimpianto per quando c’era lei: la regina più Rule Britannia di tutte. Ma la storia è quella di un suo suddito che, negli anni dell’austerity postbellica, va a cercare fortuna in Australia. Un concept album da manuale.

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2. Luca Dirisio, Roma
Intanto, in Italia, ecco un ritorno di fiamma per la capitale da parte dei cantautori, tipo Max Pezzali, che con In questa città porta la sua prospettiva milanese, e dunque forse un po’ altezzosa, da frequentatore fisso di tassinari. Qui c’è invece un “abruzzese orgoglioso” (che ha letto Raymond Carver e titola il nuovo album Bouganville), livello strada, che sente suonare le campane tra i vicoli, e i taxi li vede tutt’al più a piazza Navona. E in effetti ora basta, bisogna tornare a portare rispetto a questa città, restare umani e lasciare ad altri le grandi ironie anulari.

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3. Prometheo, Quel che vide la rupe
“La decadenza altresì del concetto di democrazia, sudici politicanti indegni abitanti della perfetta civiltà”. Altro che opera rock, questa sembra più una tragedia di Eschilo. Nata con il sostegno di Puglia Sounds Record, racconta la storia del Prometeo incatenato, il titano che ruba il fuoco agli dei per donarlo agli uomini, innescando il gran falò della civiltà, poi punito dall’insopportabile Zeus. Narrato (in linguaggio aulico del tipo “abietta zingara, fosca vegliarda”) da questi ragazzi del prog barese, che, incatenati al 1975, fanno simpatia.

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