14 luglio 2020 18:18

1. Fadi, Owo
Ode a una città nigeriana ignota ai più, ma che per un ragazzo cresciuto in riviera adriatica potrebbe essere una specie di Zacinto. “Un italiano medio vero”, nigeriano di Riccione, yoruba romagnolo, schiocca la lingua alla maniera africana e fa risuonare belle parole in quel suo timbro profondo. Si sente la sua volontà di abbracciare “Fela Kuti e Casadei”, e magari (con quei ganci a forma di fischio, ancorati al ritmo del kalangu o talking drum) pure d’infilarci una hit solare per un’estate in cui le voci black importano se possibile ancor più del solito.

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2. Waldeck, One of these days (feat. Patrizia Ferrara)
Riaffiora la pura sorniona malinconia di Konstantin Waldeck, austriaco creatore di mood sonori, tra Kruder & Dorfmeister e gli spot della Ferrero Rocher. Il suo nuovo sfizioso album, Grand Casino Hotel, è un posto sperduto nel deserto, in una confluenza di autostrade perdute da David Lynch, echi di sgommate e blues, sixties lounge, cocktail e thriller da cinemascope; le suite sono occupate da valenti sciantose (una è italiana). Non manca, con triste tempismo, un sentito omaggio a Ennio Morricone.

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3. Mietta, Spritz Campari
“Tipo quella là che fa duddùdaddaddarà”: valente tentativo da parte della cantante tarantina di esorcizzare il pezzo per cui è forever nei cuori, la sua Vattene amore da ventenne con Amedeo Minghi a Sanremo 1990: il nuovo pezzo brandizzato, l’aperitivo alla milanese nel centro di Taranto, nuovi conti sentimentali da regolare, l’approccio ciofane con i richiami dance, tutto tra virgolette, una produzione che trasuda astuzia e quasi ansia da tormentone; un carico di leggerezza che ci vogliono le spalle per reggerlo. Ma come si fa a non tifare Mietta?

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Questo articolo è uscito sul numero 1366 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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