10 luglio 2015 12:57

Terminator Genisys

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Sulla ruota dei reboot/remake/sequel hollywoodiani è uscito il numero del Terminator (29, il robot) ed ecco quindi arrivare nei cinema Genisys, di Alan Taylor, il quinto della serie cominciata nel lontano 1984. Il primo Terminator, firmato dall’esordiente James Cameron, era un capolavoro (artigianale: c’è una scena assurda in cui una tizia non si accorge del gigantesco robot che le devasta la casa perché ha le cuffie del walkman) con delle intuizioni che hanno fatto scuola. Poi la carriera di Schwarzenegger è decollata, Arnold ha imparato a essere ironico e dal secondo film il Terminator è diventato buono. In Genisys il Terminator è diventato vecchio e per ironia (o necessità di reboot) torniamo all’inizio, nel 1984. La corsa dell’ex governatore della California come robot forse è arrivata al capolinea. Ma probabilmente non quella della saga di Terminator. Si sa, a Hollywood non si può mai dire.

‘71

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’71, il debutto di Yann Demange, regista londinese d’adozione (nato però a Parigi da mamma francese e papà algerino) è ambientato a Belfast durante i Troubles: praticamente una guerra civile minimizzata come “problema”. Nell’Ulster la tensione tra cattolici repubblicani e protestanti unionisti sta montando e nel giro di pochi mesi si arriverà alla famosa Bloody sunday di Derry. In ’71 il punto di vista è quello di un soldatino inglese Gary Hook (Jack O’Connell) che subito dopo l’addestramento verrà spedito in Irlanda del Nord, a Belfast. Il suo plotone è impiegato in quella che sembra un’operazione di routine, in appoggio ai cattivissimi poliziotti della Royal Ulster Constabulary (Ruc) in cerca di armi in un quartiere cattolico della città. Lo spaesamento dei giovani soldati è evidente: non solo, come gli ricorda un superiore, non hanno lasciato il loro paese (sono ancora nel Regno Unito), ma i palloncini di pipì che gli vengono tirati addosso da un gruppo di bambini sembrano meno minacciosi della violenza inaudita dei poliziotti nordirlandesi. Ma è solo l’inizio. In un batter d’occhio Gary si ritrova da solo e inseguito da un repubblicano che gli spara addosso.

Tagliato fuori “dietro le linee nemiche” non sa a chi rivolgersi, non ci capisce niente. Non sarebbe facile per nessuno raccapezzarsi in una situazione politica e sociale così complicata: gli stessi repubblicani sono divisi tra chi cerca soluzioni politiche (i più vecchi) e chi vuole sparare (i più giovani). Tra gli unionisti, i cattivissimi poliziotti della Ruc si distinguono facilmente, ma i paramilitari dell’Uvf sono difficili da distinguere da quelli dell’Ira. E poi ci sono le spie dell’intelligence militare che fanno davvero paura. Riuscirà il povero e inconsapevole soldato Hook a uscire da questo labirinto? Grande film, sequenze magistrali, una quarantina di minuti da vedere con il fiato sospeso, zero eroi, zero retorica. Affrettarsi in sala.

Giovani si diventa

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L’inizio di Giovani si diventa, di Noah Baumbach, è abbastanza promettente. Ben Stiller e Naomi Watts sono una coppia di quarantenni in bilico tra gli amici di sempre che ormai parlano solo di pannolini (uno di loro è Adam Horowitz, ovvero Ad-Rock dei Beastie Boys) e una coppia di ventenni, Adam Driver e Amanda Seyfried, che invece sembrano spuntati dal nulla per ricordargli quanto ci si diverte quando si è giovani. Per chiunque abbia una quarantina d’anni e non abbia ancora messo su famiglia, il film sembra davvero cogliere alcuni punti cruciali della nostra epoca, in cui l’età adulta sembra non dover mai arrivare e in cui i più giovani devono combattere con una generazione precedente che occupa ancora quello che dovrebbe essere il loro spazio di manovra. Peccato che tutte queste questioni sollevate lentamente si annacquino in una specie di intrigo in cui l’unica persona che sembra davvero sana di mente e di principi è un anziano Charles Grodin, nei panni del padre di Naomi Watts. I limiti del film forse sono ben rappresentati da Ben Stiller che anche qui sembra soffrire della sua incapacità di rinnovarsi. Quella specie di disincantata amarezza che Noah Baumbach aveva espresso nel suo film migliore, Il calamaro e la balena, qui sembra cedere a sentimenti più inquietanti, molto poco disincantati.

Il nemico invisibile

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In uscita anche Il nemico invisibile di Paul Schrader, con Nicolas Cage nei panni di un veterano della Cia che si rimette sulle tracce della sua nemesi, un cattivissimo jihadista che tutti credevano morto. Niente di memorabile.

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