18 aprile 2017 14:38

È uno dei grandi paradossi della campagna elettorale francese che sta per chiudersi: la politica estera della Francia non è stata oggetto di alcun dibattito approfondito, eppure costituisce una delle linee di demarcazione più significative tra i candidati. È anche il tema sul quale il resto del mondo attende, non senza inquietudine, il risultato delle presidenziali francesi, nonostante non abbia un peso decisivo nella scelta dei cittadini che si recheranno alle urne.

Fino all’ultimo minuto alcuni temi hanno agitato la campagna elettorale, come la pittoresca “alleanza bolivariana” alla quale Jean-Luc Mélenchon, il candidato della sinistra radicale, vuole far aderire la Francia nel punto 62 del suo programma e che rievoca involontariamente il sostegno che ha storicamente portato, anche se oggi lo ricorda malvolentieri, a Hugo Chávez, defunto leader di un Venezuela oggi a brandelli, sia economicamente sia politicamente.

L’Europa e i rapporti franco-tedeschi, le relazioni con Vladimir Putin, il conflitto siriano, l’adesione alla Nato e più in generale il ruolo della Francia nel mondo sono motivi di discordia e di divergenza tra i candidati.

Tutti argomenti che chiamano in causa il futuro della Francia molto più di altri temi, ma sono stati affrontati solo in maniera superficiale nella campagna. Eppure sarebbe fondamentale, forse più di ogni altra cosa, sapere se la Francia resterà nell’Unione europea e se muterà o meno le sue alleanze internazionali.

Oltre il divario tra sinistra e destra
Un altro paradosso è che la politica estera è il tema sul quale le differenze tra destra e sinistra francesi, che spesso accendono il dibattito in questa campagna, sono meno significative. Gli esteri segnano i punti di maggiore distanza tra il socialista Benoît Hamon e il “radicale” Jean-Luc Mélenchon, che si assesta su posizioni simili a quelle dell’estrema destra di Marine Le Pen (anche se questo non significa che i due candidati possano essere minimamente assimilati). Benoît Hamon, Emmanuel Macron e François Fillon hanno posizioni analoghe sull’Europa, ma i primi due si smarcano dal terzo per quanto riguarda, per esempio, le relazioni con Putin.

Non è la prima volta che succede: già nel 2005 lo scontro sul referendum costituzionale europeo in Francia trascendeva il divario tra destra e sinistra, poiché ogni famiglia politica aveva i suoi sovranisti e i suoi filoeuropei. Basti pensare al “no” dell’ex primo ministro Laurent Fabius quando il Partito socialista, a cui apparteneva, sceglieva il “sì” e alla famosa copertina di Paris Match nella quale François Hollande e Nicolas Sarkozy, nessuno dei quali era ancora presidente, posavano insieme per il “sì”.

Nel 2017 le posizioni dei candidati sono chiare e percorrono uno spettro che va dal sovranismo assoluto difeso da Marine Le Pen, dal neogollista Nicolas Dupont- Aignan e da altri “piccoli” candidati, alla linea apertamente filo-europea rivendicata dall’ex ministro dell’economia e candidato di En Marche!, Emmanuel Macron.

Un tema per il ballottaggio
A seconda di quella che sarà la configurazione del secondo turno elettorale, questo tema rischia di trovarsi al cuore del dibattito, soprattutto se dovesse esserci uno scontro tra Marine Le Pen ed Emmanuel Macron, che sull’Europa occupano due posizioni agli antipodi.

Al contrario, se al ballottaggio dovessero arrivare Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon, come sogna quest’ultimo da quando è cominciata la sua rimonta nei sondaggi, ai francesi verranno proposte due diverse forme di uscita dai trattati europei. E questo nonostante i francesi si esprimano in maggioranza, in tutti i sondaggi, a favore della permanenza nella zona euro e nell’Unione europea.

La posizione del candidato di France insoumise è più complessa di quella di Marine Le Pen ma conduce verosimilmente allo stesso risultato: un’uscita della Francia dall’euro e dall’Ue. Lo staff della sua campagna ha risposto questo fine settimana sui social network alle accuse di Emmanuel Macron di volere la fine dell’Europa, ma la risposta lascia pochi dubbi al proposito:

Non vogliamo uscire dall’Unione europea. Desideriamo rinegoziare i trattati europei per un’Europa più sociale ed ecologica. Il piano b serve unicamente a fare pressione. Se usciremo dall’Ue, alla quale contribuiamo per il 20 per cento, questa esploderà. Non possono permettersi che ce ne andiamo.

Laddove Marine Le Pen, già sostenitrice della Brexit, vorrebbe un referendum sulla Frexit subito dopo la sua elezione, Jean-Luc Mélenchon passerebbe innanzitutto dal suo “piano a”, rinegoziare i trattati europei, prima di passare, in caso di (probabile) insuccesso a un referendum sul “piano b”, ovvero l’uscita dall’Ue.

Da parte loro Emmanuel Macron, Benoît Hamon e François Fillon sono stati tutti e tre ricevuti a Berlino dalla cancelliera Angela Merkel. Il candidato di En Marche! ha persino ricevuto il sostegno pubblico di Wolfgang Schäuble, il potente ministro tedesco delle finanze, che in molti si aspettavano avrebbe invece sostenuto François Fillon, ex primo ministro e candidato della destra tradizionale.

Si tratta chiaramente di due approcci diversi al futuro dell’Europa e forse, soprattutto, di due approcci diversi ai rapporti franco-tedeschi. I candidati che si sono recati a Berlino sostengono un accordo tra i due paesi per sbloccare l’attuale stallo dell’Unione. Per gli altri invece la cancelliera Merkel è un bersaglio, un simbolo di ciò che rifiutano dell’Europa.

Jean-Luc Mélenchon ha addirittura consacrato un libro alla Germania, Le hareng de Bismarck (le poison allemand), (L’aringa di Bismarck, il veleno tedesco), uscito nel maggio 2015 per le edizioni Plon, e che contiene alcuni passaggi molto espliciti:

Un mostro è nato sotto i nostri occhi, figlio della finanza senza regole e di un paese che a essa si è votato, incancrenito dall’invecchiamento accelerato della sua popolazione. L’uno senza l’altro non sarebbe niente. Questa alleanza sta rimodellando il vecchio continente a suo piacimento. Da allora la Germania è nuovamente in pericolo. Il modello che impone rappresenta, una volta di più, un arretramento per la nostra civiltà. Che abbia come paravento la Commissione europea, come cavallo da tiro la Nato e come complice tutta la casta degli affaristi in ciascuno dei nostri paesi nulla toglie alle sue responsabilità nella cosa.

Al contrario Emmanuel Macron gioca la carte dell’intesa con i dirigenti tedeschi – quelli al governo come i loro rivali dell’Spd, che gli hanno riservato una buona accoglienza nonostante la loro alleanza con il Partito socialista francese – per rendere “più efficace” l’Europa. Punta su un accordo di riforme strutturali in Francia in cambio di un sostegno tedesco a riforme più profonde in Europa e la sua vittoria appare oggi, vista dal resto del continente, come l’ipotesi che più potrebbe far ripartire un’Europa in panne.

La questione Putin
Per quanto riguarda i rapporti con Vladimir Putin troviamo lo stesso ventaglio di opinioni diverse. Marine Le Pen ha sorpreso tutti e ha chiarito la sua assoluta vicinanza con il presidente russo, incontrandolo e facendosi fotografare con lui il 24 marzo al Cremlino. Le Pen è totalmente Putin-compatibile e ne sostiene la politica sia in Crimea sia in Siria, tacendo sulle questioni che potrebbero disturbarlo, come la repressione della società civile e dei suoi oppositori.

Jean-Luc Mélenchon, la cui compiacenza nei confronti di Vladimir Putin è stata spesso criticata – per esempio quando ha ripreso, parola per parola, il linguaggio del Cremlino dopo l’assassinio dell’oppositore Boris Nemtsov nel centro di Mosca nel febbraio 2015 – ha preso le distanze dopo la foto di Le Pen con Putin. La sua nuova posizione suona più o meno: “Io sono io e lui è lui”.

Ma al Cremlino non dispiacerebbe la politica estera sostenuta dal candidato di La France insoumise sull’Europa, sul Medio Oriente, sulla Nato, per non parlare della posizione critica nei confronti degli Stati Uniti che Jean-Luc Mélenchon coltiva da sempre, in particolare attraverso le sue amicizie latinoamericane.

Le stesse ambiguità esistono in François Fillon, il quale oggi mette leggermente in secondo piano la sua amicizia con Vladimir Putin, che risale all’epoca in cui entrambi erano primo ministro, e sulla quale faceva affidamento in passato per rafforzare la sua immagine di statista. Nel suo entourage ci sono però uomini che non hanno lo stesso pudore e che si affidano alla “carta russa” da Mosca a Damasco.

Se si esclude il forte europeismo, sulla diplomazia di Macron regna ancora l’incertezza

Emmanuel Macron, invece, assume una linea molto più classica, rivendicando un gollismo-mitterrandista consensuale anche se, al di là delle sue forti convinzioni europeiste, si sa ancora poco della sua politica estera globale. Sarà alla fine un occidentalista come Sarkozy e Hollande oppure ristabilirà l’equilibrio diplomatico dei loro predecessori? Se si esclude appunto il forte europeismo, sulla diplomazia di Macron regna ancora l’incertezza.

La posta in gioco non è secondaria. Condiziona il ruolo della Francia in Europa e nel mondo e anche, chiaramente, la sopravvivenza del progetto di costruzione europeo, che faticherebbe a sopravvivere a una defezione francese, dopo quella del Regno Unito.

Nonostante sia stato assente al primo turno, questo dibattito sarà sicuramente al cuore del secondo. Ma occorre che i protagonisti di questo “round” decisivo offrano delle vere e proprie alternative, e non solo due versioni della stessa offerta politica.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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