31 gennaio 2018 13:04

Voltata la pagina dell’11 settembre e delle minacce terroristiche, si torna ai più classici scontri tra gli stati. Senza troppo clamore il Pentagono, il ministero della difesa statunitense, ha rivisto la visione strategica degli Stati Uniti, ufficializzando una nuova guerra fredda nella quale i principali avversari designati sono Cina e Russia.

Nella cronaca quasi quotidiana degli eccessi di Donald Trump, la pubblicazione da parte del Pentagono della Strategia di difesa nazionale per il 2018 (la precedente risaliva a dieci anni fa) è passata quasi inosservata all’estero. Eppure segna una svolta. “La concorrenza strategica tra stati, e non il terrorismo, costituisce ormai la principale inquietudine per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti”, proclama fin dall’inizio il riassunto di undici pagine pubblicato il 19 gennaio.

Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, la principale preoccupazione per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti è stata quella del terrorismo, prima con la caccia alla rete di Al Qaeda e al suo capo Osama Bin Laden, ucciso durante un raid in Pakistan nel 2011, e poi con l’ascesa del gruppo Stato islamico in Iraq e in Siria, a partire dal 2014. Anche se, durante l’amministrazione Obama, la Russia è rapidamente diventata un rivale strategico, con l’annessione della Crimea e poi con l’intervento in Siria.

Giustificare la propria esistenza
“Risulta sempre più chiaro”, secondo il Pentagono, “che la Cina e la Russia vogliono modellare un mondo compatibile con il loro modello autoritario, ottenendo un diritto di veto sulle decisioni degli altri paesi in ambito economico, diplomatico e di sicurezza”. Per Washington questi due paesi sono degli stati “revisionisti”, decisi cioè a cambiare l’ordine internazionale.

Con la presidenza di Donald Trump la lista si è ampliata, con il ritorno della Corea del Nord e dell’Iran. L’“asse del male” dell’epoca Bush ha ritrovato un ruolo preponderante nella lista delle minacce, e in particolare l’Iran, con il quale Barack Obama aveva tentato un’apertura tramite l’accordo nucleare del 2016 che il suo successore vuole rimettere in discussione.

“Questo contesto di sicurezza sempre più complesso è definito da un rapido mutamento tecnologico, dalle sfide poste dai nostri avversari in tutti gli ambiti d’azione, e dall’impatto sul nostro livello di preparazione che viene dal più lungo periodo di conflitto armato ininterrotto nella storia del nostro paese”, aggiunge il documento, che avvisa che “l’esercito statunitense non ha alcuna garanzia preventiva di vittoria sul campo di battaglia”.

Pechino non lascerà senza risposta le misure protezionistiche degli Stati Uniti

Si tratta naturalmente di un documento del Pentagono, il quale cerca, come all’epoca della guerra fredda, di giustificare il proprio bilancio e, in questo caso, l’importante aumento delle spese voluto da Donald Trump.

Ma è anche coerente con l’approccio globale che gli Stati Uniti hanno assunto dopo la vittoria del candidato repubblicano. In particolare nei confronti della Cina, attaccata in campagna elettorale da Trump, e diventata il bersaglio delle sue frasi contraddittorie – in cui al tempo stesso vanta la relazione personale con il numero uno cinese Xi Jinping e denuncia la doppiezza di Pechino sulla Corea del Nord – oltre che di una guerra doganale con l’imposizione dei dazi sui pannelli solari cinesi.

Bill Bishop, autore di Sinocism, una rubrica di approfondimento sulla Cina, sottolinea che nell’arco di un mese a Washington sono stati pubblicati almeno tre importanti documenti che indicano la Cina come rivale.

La minaccia corre nel telefono
Oltre alla “strategia di difesa nazionale” del Pentagono, hanno reso note le loro valutazioni sulla “minaccia” cinese anche l’ufficio delle politiche commerciali incaricato di valutare il rispetto delle norme dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) da parte della Cina e della Russia, e il dipartimento della sicurezza nazionale, accusando Pechino di “consistenti furti” di dati, di aver creato l’esercito “più competente e più ricco di fondi dopo il nostro”, e di diffondere alcuni aspetti del suo sistema autoritario “come la sorveglianza” (un’accusa sorprendente dopo le rivelazioni di Edward Snowden sulla sorveglianza di massa messa in pratica dagli Stati Uniti).

Il documento del rappresentante del commercio si spinge a ritenere che gli Stati Uniti abbiano sbagliato a permettere alla Cina di entrare nella Wto nel 2001: “Appare chiaro che gli Stati Uniti hanno commesso un errore sostenendo l’ingresso della Cina nella Wto con condizioni che si sono rivelate inefficaci per garantire che essa adotti un regime commerciale aperto e di mercato”.

Il 28 gennaio il sito statunitense Axios ha rivelato una sorprendente proposta attualmente allo studio da parte dell’amministrazione Trump e volta a “nazionalizzare” la futura rete di telefonia mobile 5g. L’obiettivo sarebbe proteggerla dalle minacce alla sicurezza poste dalla Cina. Lo stato federale potrebbe così occuparsi della costruzione della rete, affittandola poi agli operatori delle telecomunicazioni, invece di lasciare a ciascuno di questi il compito di creare la propria rete.

La sfida tra Stati Uniti e Cina ricorda la trappola in cui si cacciarono Atene e Sparta

Con lo stesso spirito, all’inizio di gennaio l’operatore di telecomunicazioni statunitense At&t aveva annullato all’ultimo minuto un contratto che stava negoziando con il produttore cinese Huawei per poter vendere i suoi smartphone, in particolare l’ultimo modello, lo Huawei Mate 10 Pro, un dispositivo dotato d’intelligenza artificiale e che farebbe concorrenza agli iPhone e ad altri dispositivi Samsung. Sono state probabilmente le pressioni dell’amministrazione statunitense a far desistere At&t, essendo Huawei malvista a Washington a causa dei suoi presunti legami con l’apparato di sicurezza cinese.

Lezione antica
Questo clima di crescente concorrenza strategica lascia presagire delle gravi tensioni tra i due paesi nei prossimi mesi. Pechino non lascerà senza risposta queste misure protezionistiche degli Stati Uniti, che si tratti dei pannelli solari o degli smartphone.

Il documento del Pentagono afferma che l’obiettivo di questa revisione strategica è solo quello di “indirizzare le relazioni sinostatunitensi sulla via della trasparenza e della non aggressione”. Ma ha fatto riemergere anche la celebre “trappola di Tucidide”, un antico concetto risalente all’antichità greca, che esprime i rischi legati alla difficoltà di evitare una guerra tra una potenza emergente e una regnante.

All’epoca, nel quinto secolo avanti Cristo, si trattava di Atene e Sparta, ma un autore statunitense, Graham Allison, professore ad Harvard, ha applicato il concetto alle odierne relazioni sinoamericane in un libro uscito nel 2017: Destined for war: can America and China escape Thucydides’s trap?.

Non sempre la storia si ripete, soprattutto a 2.500 anni di distanza. Ma il clima a Washington, rivelato da queste revisioni strategiche, somiglia allo scenario descritto da Tucidide e rivisto da Allison: la paura della potenza regnante di fronte alla sfida lanciata dalla potenza emergente.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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