17 ottobre 2018 11:33

Teniamo ben presente questa parola: backstop. La sentiremo spesso, nei giorni e nelle settimane che verranno, perché è la chiave del successo o del fallimento del negoziato sull’uscita del Regno Unito dall’Unione europea.

Backstop è una parola che potremmo tradurre con “rete di sicurezza”. In questo caso indica il complesso sistema immaginato da Bruxelles per evitare di innalzare una nuova frontiera tra le due Irlande una volta che il Regno Unito avrà lasciato l’Unione, il prossimo 30 marzo. Nei fatti, l’Irlanda del Nord resterebbe nell’Unione doganiera europea, al contrario del resto del Regno Unito.

È un incubo per Theresa May, perché se accetterà la proposta del negoziatore europeo Michel Barnier, la sua coalizione con gli unionisti irlandesi potrebbe sfaldarsi e il suo governo potrebbe implodere per l’uscita dei partigiani della Brexit “dura”.

Nella serata del 17 ottobre, Theresa May sarà a Bruxelles per incontrare gli altri 27 leader europei, nell’ultimo giorno utile del periodo previsto per concludere l’accordo sull’uscita dall’Unione. Ma al momento non esiste un accordo sul tavolo, dato che i britannici sono troppo divisi per accettare la proposta europea in merito al problema della frontiera tra le due Irlande.

Rispettando la drammaturgia abituale dei grandi negoziati europei, la premier britannica otterrà quasi certamente una proroga supplementare per venire incontro ai 27. La minaccia di una rottura potrebbe aiutarla a convincere il suo governo ad accettare un compromesso, ma è una speranza molto debole.

May è sopravvissuta alla guida del governo più a lungo di quanto ci si aspettasse e malgrado il clima generale

Il rischio di rottura è assolutamente reale: la “Brexit dura”, a cui aspira una parte degli integralisti dell’uscita dall’Unione a Londra, è una possibilità concreta che avrebbe conseguenze monumentali sugli scambi commerciali, i rifornimenti e i flussi finanziari. In piena tempesta, Theresa May ha i suoi meriti. Mentre il suo schieramento è travolto dal caos, diviso in fazioni che ormai complottano alla luce del sole, è sopravvissuta alla guida del governo più di quanto ci si aspettasse e malgrado il clima generale.

Ciò che colpisce, comunque, è la distanza tra il clima politico a Londra, che sfiora la crisi di nervi permanente, e la relativa indifferenza con cui l’opinione pubblica degli altri 27 paesi segue la vicenda.

Dal referendum del 2016 il Regno Unito sembra vivere su un altro paese, già sconnesso mentalmente dal resto dell’Europa, o per la precisione, più sconnesso di quanto già non fosse. Il paese spende energie considerevoli per non mettersi d’accordo sull’applicazione di una decisione che nessuno aveva previsto e di cui nessuno vuole assumersi la responsabilità.

Paradossalmente gli europei, inizialmente sconvolti dal voto britannico, hanno avuto una sorta di riflesso basato sull’istinto di sopravvivenza e si sono accordati per proteggere gli interessi di chi ha scelto di restare. Da quel momento hanno mostrato una compattezza sorprendente e assolutamente insolita. È bizzarro, ma in questo momento di crisi è soprattutto una buona notizia.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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