16 ottobre 2019 10:41

Negli ultimi due anni e mezzo è capitato spesso che le decisioni prese da Donald Trump in politica estera abbiano fatto tremare il pianeta: quando ha ripudiato l’accordo sul nucleare con l’Iran, per esempio, o quando nel 2018 ha trasferito l’ambasciata statunitense a Gerusalemme, o ancora quando ha pensato bene di stringere un’amicizia improbabile con il dittatore nordcoreano Kim Jong-un.

Ora però una telefonata tra Trump e il suo collega turco Recep Tayyip Erdoğan ha scatenato un conflitto militare nel nord della Siria, alimentando una protesta che non era mai stata così unanime, anche all’interno del partito repubblicano statunitense.

Sono passati otto giorni da quella fatidica conversazione, e Donald Trump, come se nulla fosse, ha improvvisamente annunciato sanzioni contro la Turchia se Ankara non interromperà la sua offensiva militare. Le sanzioni, va detto, sono puramente simboliche, tanto che il governo turco le interpreta come un mezzo per concedergli il tempo di far avanzare il suo esercito nell’attesa del momento, inevitabile, in cui si imporrà un cessate il fuoco.

Un grave errore
Il presidente degli Stati Uniti agisce d’istinto, e in questo caso il suo istinto lo ha persuaso a riportare a casa le truppe. Questa è la semplice realtà, ed è in questo modo che Trump si è giustificato con i suoi elettori su Twitter. Il presidente ripete che “bisogna smetterla con le guerre senza fine”, ed evidentemente ha ragione.

Ma bisogna sapere mettere fine a una guerra, ed è in questo senso che Donald Trump ha commesso un grave errore ritirando le truppe. Abbandonando i curdi alla mercé del loro peggiore nemico, infatti, Trump ha creato un disastro umanitario con 250mila sfollati, oltre a resuscitare il rischio di far riesplodere il conflitto con il gruppo Stato islamico e a offrire su un piatto d’argento un vantaggio alla Russia, i cui soldati pattugliano dal 14 ottobre un’area dove fino a pochi giorni fa si trovavano i soldati degli Stati Uniti.

Trump conserva il sostegno dei suoi elettori, che credono sempre e comunque alla sua versione dei fatti

Questo è il risultato dell’aberrante disfunzionalità di Trump, un presidente che non legge i documenti che gli vengono trasmessi, non organizza riunioni e ha dato vita al più grande rimpasto di consulenti a memoria d’uomo.

Eppure, Trump conserva il sostegno dei suoi elettori, che credono sempre e comunque alla sua versione dei fatti, ai suoi tweet postati senza sosta e ai suoi raduni da campagna elettorale permanente. Pochi giorni fa il presidente ha imitato in pubblico l’accento del re dell’Arabia Saudita per raccontare una telefonata tra i due.

Fino allo scoppio delle ostilità in Siria si poteva criticare l’assenza di risultati delle manovre di Trump: la crisi nucleare coreana è immutata, Maduro è ancora al potere in Venezuela, i mullah tengono ancora in mano l’Iran e attendiamo da mesi l’annunciato piano per la Palestina.

Ora però, il via libera concesso a Erdoğan sta producendo conseguenze concrete e nefaste. Al momento la catastrofe in politica estera è slegata dalla procedura d’impeachment in corso a Washington, ma avrà comunque un peso rilevante nelle decisioni dei repubblicani, sempre che un giorno si chiedano se sia arrivato il momento di far cadere questo presidente ingombrante e incompetente.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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