27 marzo 2020 09:56

“La prima vittima della guerra è la verità”. Speriamo che non sia il caso della “guerra sanitaria” che stiamo vivendo, perché un’informazione libera e affidabile è indispensabile per superare questa prova.

In diversi paesi la situazione è già degenerata. La corrispondente dal Cairo del quotidiano britannico The Guardian, Ruth Michaelson, è stata costretta a lasciare l’Egitto dopo aver citato uno studio scientifico secondo cui il numero di casi di coronavirus nel paese era fortemente sottostimato. Nel momento della pubblicazione del suo articolo, lo scorso 15 marzo, l’Egitto dichiarava solo tre casi di contagio. L’assenza di informazioni aveva generato alcune voci, che si sono poi rivelate fondate.

Da allora due generali vicini al presidente Al Sisi sono morti a causa del Covid-19 senza che il loro contagio sia mai stato annunciato. L’Egitto ha moltiplicato le misure precauzionali contro la pandemia, ma ha comunque deciso di allontanare la giornalista portatrice di cattive notizie.

La rivincita autoritaria
Lo stesso scenario si è presentato nella Turchia del presidente Erdoğan, stavolta con l’arresto di giornalisti turchi colpevoli di aver rivelato alcuni casi di contagio che non erano stati resi pubblici. Nel paese, che ha il record mondiale di giornalisti incarcerati, il governo vuole controllare i termini del dibattito pubblico sull’epidemia. I rari giornalisti indipendenti ne pagano le conseguenze.

Ancora più vicino a noi, in un paese dell’Unione europea come l’Ungheria, il primo ministro Viktor Orbán approfitta dell’epidemia per rafforzare il suo controllo autoritario sulla nazione. Orbán ha criminalizzato qualsiasi informazione “allarmista” sull’epidemia. Naturalmente l’ambiguità nasce da quale sarà la definizione di informazione “allarmista”…

Sappiamo benissimo cosa accade quando le informazioni sono subordinate a interessi superiori

Non dobbiamo dimenticare che inizialmente questo virus sconosciuto, apparso all’inizio di dicembre a Wuhan, è stato favorito dalla censura. Nessuno può dire con certezza cosa sarebbe accaduto se i medici di Wuhan che hanno dato l’allarme avessero potuto esprimersi liberamente e se i mezzi d’informazione cinesi avessero avuto la possibilità di diffondere i loro appelli.

Ricevere tempestivamente le informazioni non significa necessariamente prendere le decisioni giuste, come dimostrano oggi l’Europa e gli Stati Uniti. Ma è altrettanto vero che sappiamo benissimo cosa accade quando le informazioni sono subordinate a interessi superiori, nel caso specifico la stabilità politica e il segreto di stato: l’epidemia prospera e si allarga. Se c’è una lezione da trarre da questo episodio (e che il sistema cinese purtroppo non imparerà) è che un’informazione libera è un elemento necessario, anche se non sufficiente, per evitare un’epidemia.

In un’epoca in cui nelle società occidentali il giornalismo è visto con diffidenza, questa epidemia ci offre l’occasione di chiederci dove possiamo trovare un’informazione di qualità indispensabile per distinguere il vero dal falso, per mettere in dubbio le versioni ufficiali e per prendere consapevolmente decisioni che avranno un impatto sulla nostra vita.

In un’epidemia c’è bisogno prima di tutto di cure, ma anche di informazioni affidabili. Non dimentichiamolo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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