28 ottobre 2020 10:06

La scena si è svolta qualche giorno fa nell’ufficio ovale della Casa Bianca, dove Donald Trump aveva appena annunciato un accordo tra Israele e il Sudan. Davanti alle telecamere, il presidente degli Stati Uniti ha parlato al telefono con Benjamin Netanyahu, lasciandosi andare a una dichiarazione abbastanza discutibile: “Pensi che Sleepy avrebbe potuto ottenere un accordo del genere? Io non credo proprio”.

Sleepy Joe, Joe il Sonnolento, è il soprannome offensivo che Trump ha affibbiato al suo rivale nella corsa presidenziale, Joe Biden. A quel punto, nella sorpresa generale, Netanyahu ha schivato la pallottola, sottolineando che Israele è riconoscente per “tutto ciò che arriva dagli Stati Uniti”.

Il fatto che Netanyahu, il capo di governo che più di ogni altro ha beneficiato politicamente del mandato di Donald Trump, si sia rifiutato di riconoscere al candidato repubblicano il merito che aveva così palesemente richiesto in un momento difficile della sua campagna elettorale, ha sicuramente sorpreso il presidente, la cui espressione si è immediatamente contratta.

La sorpresa di Putin
Questo aneddoto la dice lunga sul clima che si respira nella mezza dozzina di capitali che si sono particolarmente “compromesse” con l’amministrazione Trump – alcune per opportunismo e altre per convinzione – e che ora sentono cambiare il vento e si preparano a un’eventuale presidenza Biden.

Ancora più sorprendente del comportamento di Netanyahu è quello di Vladimir Putin, che il 25 ottobre ha voluto difendere Joe Biden e suo figlio Hunter.

Sicuramente ricorderete che Trump aveva trasformato gli affari di Hunter Biden in Ucraina nel fulcro di una campagna diffamatoria nei confronti del suo avversario, una manovra che è poi sfociata nella procedura di impeachment contro il presidente.

Alcuni leader mondiali capiscono che le cose, negli Stati Uniti, stanno cambiando

Ora Putin, l’uomo che è accusato di aver favorito Trump nel 2016, ha dichiarato pubblicamente che non esistono motivi per criticare Joe Biden e suo figlio, in Ucraina come in Russia.

Il fatto più straordinario è che Putin abbia voluto manifestare questa opinione. Nessuno si aspettava una sua dichiarazione, e invece il presidente russo ha scelto all’ultimo momento di “azzoppare” uno dei cavalli di battaglia di Trump, quando una dichiarazione opposta avrebbe sicuramente favorito il presidente.

Alcuni leader mondiali capiscono che le cose, negli Stati Uniti, stanno cambiando, e per questo si adoperano per evitare che in futuro qualcuno possa accusarli di aver ostacolato Biden sul rettilineo finale.

Altri capi di governo preferiscono tenersi in disparte. È il caso di Boris Johnson, che ha legato la sua immagine e una parte della sua strategia al destino del presidente statunitense. Oggi Johnson tace, consapevole che un sconfitta di Trump sarebbe considerata anche una sua sconfitta.

Infine ci sono quelli che restano fedeli, come il primo ministro ungherese Viktor Orbán, che invita gli statunitensi a votare per Trump. O come il suo collega sloveno, che dopotutto governa sul paese natale di Melania Trump.

In caso di disfatta avremo dunque diversi “orfani di Trump”, leader stranieri che dopo aver tratto una serie vantaggi dal mondo disfunzionale dell’attuale presidente, hanno capito che sarebbero penalizzati in quello, ancora ipotetico e vago, di Joe Biden.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it