21 gennaio 2021 10:14

Negli Stati Uniti, nel contesto di uno strano passaggio tra due epoche, c’è un significativo elemento di continuità in politica estera.

Nell’ultimo giorno trascorso al dipartimento di stato, infatti, il capo della diplomazia di Donald Trump Mike Pompeo ha pubblicato una dichiarazione in cui accusa la Cina di “genocidio” nei confronti della popolazione uigura dello Xinjiang. Quello di Pompeo sarebbe potuto essere l’ultimo attacco da parte di un’amministrazione che ha fatto della Cina il suo avversario principale.

E invece, poche ore dopo, Antony Blinken, segretario di stato scelto da Biden, si è presentato in senato per la conferma della sua nomina e ha pronunciato la stessa parola carica di significato: genocidio. Blinken ha addirittura dichiarato che Donald Trump ha avuto ragione ad adottare una politica più dura nei confronti di Pechino. Si è trattato di un raro omaggio a un uomo altrimenti disprezzato.

Canali di dialogo aperti
Dunque ci sarà una certa continuità tra le due amministrazioni su questo tema. A Washington esiste un consenso sul fatto che la Cina vada considerata come un avversario strategico. Ma è sulla forma che l’amministrazione Biden cambierà approccio, creando alleanze per affrontare Pechino (laddove Trump aveva scelto un atteggiamento unilaterale) e mantenendo aperti i canali di dialogo e collaborazione con il governo cinese, per esempio sul clima.

In ogni caso la decisione dell’amministrazione uscente di accusare Pechino di genocidio, confermata dalla dichiarazione di Blinken, avrà conseguenze non indifferenti. Genocidio non significa solo massacro di massa, come nei noti precedenti in Armenia e Ruanda, passando per gli ebrei in Europa. Nella definizione data dall’Onu nel 1948, infatti, si parla anche di “attacchi gravi all’integrità psicologica o mentale” dei componenti di un gruppo o di una popolazione e di “azioni volte a ostacolare le nascite all’interno di un gruppo”.

La questione si pone anche per gli europei, che con la Cina hanno appena firmato un accordo controverso sugli investimenti

Come è noto la Cina procede a sterilizzazioni forzate. L’ultima conferma è arrivata dalla testimonianza, apparsa in Francia, di una donna uigura sfuggita a un campo cinese.

L’amministrazione Biden dovrà definire la sua posizione, perché non si può trattare con un paese accusato di genocidio come se niente fosse. Non si tratta solo di un’escalation verbale, ma anche giuridica. Antony Blinken non intende tagliare tutti i ponti con la Cina, e questo lo differenzia dal suo predecessore, che voleva una “separazione” totale.

Come gestire questo equilibrismo nei rapporti con un paese in cui la Tesla ha appena aperto una fabbrica, dove sono assemblati gli iPhone e altri prodotti dei giganti statunitensi ma che viene accusato del crimine peggiore che esista?

La questione si pone anche per gli europei, che con la Cina hanno appena firmato un accordo controverso sugli investimenti e saranno costretti a prendere posizione dopo l’accusa lanciata da Washington.

In ogni caso è significativo che nel clima di “rottura” tra due presidenti e ciò che incarnano emerga questo elemento di continuità sul tema cruciale della nostra epoca. A Pechino hanno già capito che l’uscita di scena di Donald Trump non significa la fine dello scontro tra la superpotenza dominante e lo sfidante cinese.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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