15 aprile 2021 10:13

È possibile collaborare con la Cina sul clima pur restando avversari, anche in un momento di grande tensione con Pechino su altri temi? Non è una domanda teorica, ma la missione di cui si fa carico John Kerry, ex segretario di stato di Barack Obama diventato “mister clima” al servizio di Joe Biden.

Kerry è arrivato in Cina, ed è il primo alto funzionario dell’amministrazione Biden a mettere piede nel paese dopo l’avvicendamento alla Casa Bianca, nonché il primo rappresentante statunitense dall’agosto del 2019. Kerry si presenta in Cina in pieno conflitto sinoamericano, soprattutto a proposito di Taiwan e delle manovre nel mar Cinese meridionale.

Kerry è la persona adatta per questa missione di “diplomazia climatica”. Come capo del dipartimento di stato, infatti, aveva gestito il negoziato sfociato nell’accordo di Parigi sul clima del 2015, reso possibile da un’intesa tra Pechino e Washington. Il suo interlocutore dell’epoca si chiamava Xie Zhenhua, successivamente andato in pensione ma richiamato dal presidente cinese Xi Jinping per fungere da alter ego dell’inviato degli Stati Uniti. Si tratta di un gesto di buon auspicio.

Gli impegni di Pechino sul clima
È possibile che il clima sfugga alle tensioni diplomatiche? Non è detto. Al momento non è chiaro se Pechino intenda accettare di giocare la partita della cooperazione con Washington, seppur su un tema di cooperazione generale come il cambiamento climatico. Non dobbiamo dimenticare che in questo momento gli Stati Uniti definiscono la Cina come “una minaccia” e l’accusano di commettere un “genocidio” nello Xinjiang.

Il 14 aprile un editoriale del quotidiano nazionalista di Pechino Global Times accusava gli Stati Uniti di non avere né la base morale né il potere per dettare la linea alla Cina sulle questioni climatiche. Il giornale è spesso eccessivo, ma l’irrigidimento della diplomazia cinese ne fa un buon barometro della posizione di Pechino.

Gli scienziati sottolineano che gli obiettivi per la riduzione delle emissioni sono insufficienti

Il paradosso è che la Cina ha fatto molti passi avanti sul clima dopo aver combattuto per anni per far ricadere tutto il peso degli sforzi sul vecchio mondo industriale. Dopo l’accordo di Parigi, Pechino ha preso impegni precisi: mettere un tetto alle sue di emissioni di CO2 nel 2030 e azzerare le emissioni nette nel 2060, dieci anni dopo la data fissata da statunitensi ed europei. Tuttavia, come sottolinea il Global Times, questi sono obiettivi decisi da Pechino, non da Washington.

Biden propone di andare oltre, e questo è l’argomento di discussione attuale. Gli scienziati sottolineano che gli obiettivi per la riduzione delle emissioni sono insufficienti, e il presidente americano ha inviato i principali leader del pianeta a partecipare a un vertice virtuale la prossima settimana per affrontare il problema. L’obiettivo è quello di preparare la Cop26 di Glasgow, in programma a novembre. Xi Jinping non ha ancora dato la sua risposta. Se accetterà, sarà un segnale inequivocabile di buona volontà.

Gli Stati Uniti, come l’Unione europea, ritengono che il rapporto con la Cina possa essere segnato dalla concorrenza e a volte dallo scontro, ma anche dalla cooperazione sui temi globali, tra cui il clima.

Resta da capire se la Cina, in piena fase di affermazione della propria potenza rispetto agli occidentali “che amano dare lezioni”, accetterà questa nuova regola del gioco mondiale. Se rifiuterà, l’azione collettiva contro il cambiamento climatico ne subirà le conseguenze. Questo è il tema centrale della missione di John Kerry, senza dubbio il più diplomatico della nuova amministrazione.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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