01 ottobre 2021 10:18

Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan è un equilibrista. Seguire le sue avventure diplomatiche e militari può dare le vertigini, perché Erdoğan cambia bruscamente posizione e a volte ne adotta diverse contemporaneamente. La Turchia oggi è l’emblema di un periodo di ricomposizione geopolitica in cui le alleanze possono essere rimesse in discussione (lo abbiamo visto recentemente in Australia) e gli appetiti delle potenze, a lungo repressi, si manifestano alla luce del giorno.

Il 30 settembre il presidente turco si trovava a Soči, in Russia, per incontrare un uomo che non si capisce bene se sia suo partner, suo avversario o entrambe le cose: Vladimir Putin. Russia e Turchia si scontrano nel nordovest della Siria e in Libia, ma i due leader hanno sempre trovato il modo di capirsi, quasi sempre a scapito degli Stati Uniti.

Erdoğan ha lasciato Mosca con un annuncio che avrà sicuramente irritato Washington: la Turchia e la Russia intendono collaborare per la produzione di aerei da combattimento e sottomarini. Ankara, inoltre, acquisterà il secondo lotto del sistema di difesa antiaerea russo S-400.

Un problema complesso
Erdoğan mette costantemente alla prova i rapporti di forze. L’acquisto del primo lotto di S-400 è valso alla Turchia, ai tempi di Donald Trump, una serie di sanzioni e in particolare l’esclusione dal programma degli aerei da combattimento statunitensi F-35. Il presidente turco sperava di ammansire Joe Biden, che però il mese scorso gli ha rifiutato un incontro a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York.

L’alleanza atlantica vive una contraddizione permanente

Erdoğan rappresenta un problema complesso per gli Stati Uniti: la Turchia fa parte della Nato, l’alleanza guidata da Washington, ma da qualche anno porta avanti una strategia autonoma senza consultarsi con gli alleati. Ankara è intervenuta militarmente in Libia, in Siria, in Iraq e in Armenia al fianco dell’Azerbaijan. Inoltre la Turchia era presente a Kabul dopo la partenza della Nato. La lista, insomma, è lunga.

Il 30 settembre, seppur ufficiosamente, la Nato ha criticato l’annuncio della collaborazione sugli armamenti con Mosca. Ufficialmente, invece, non accade nulla. L’alleanza atlantica vive questa contraddizione permanente.

La Francia aveva cercato di sollevare il problema turco alla Nato. È pensando ad Ankara, infatti, che alla fine del 2019 il presidente francese Emmanuel Macron aveva dichiarato al settimanale The Economist che la Nato era “in stato di morte cerebrale”. La formula aveva fatto scalpore, ma Macron aveva semplicemente messo la Nato davanti alle sue contraddizioni. Purtroppo non è servito, anche perché gli Stati Uniti pensano solo alla Cina.

La stessa Francia ha reso la situazione un po’ più complessa firmando alcuni giorni fa un partenariato strategico con la Grecia che contiene una clausola di solidarietà in caso di aggressione. Quale paese potrebbe provocare l’attivazione di quella clausola? Naturalmente la Turchia. Il problema è che la Francia, la Grecia e la Turchia fanno parte della stessa alleanza, cioè la Nato.

Questa confusione generale non potrà durare in eterno. Oggi tutti preferirebbero che la Turchia rimanesse all’interno della Nato, per limitare i danni. Ma resta il fatto che esiste un’evidente incoerenza all’interno dell’alleanza, in un momento di grandi cambiamenti nei rapporti di forza internazionali. Un giorno, forse, la Nato uscirà dal coma per risolvere i suoi problemi.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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