19 ottobre 2022 10:11

Di sicuro non sapremo mai cosa c’è “nella testa di Vladimir Putin”, per riprendere una domanda posta un’infinità di volte dopo l’invasione dell’Ucraina. Ma almeno oggi abbiamo la possibilità di sbirciare dietro la facciata del “sistema Putin” grazie a un diplomatico russo che ha deciso di sbattere la porta.

Boris Bondarev, che si è dimesso in primavera dalla missione diplomatica russa a Ginevra, ha appena pubblicato sulla rivista americana Foreign Affairs un lungo articolo, molto personale, in cui racconta il suo percorso, l’evoluzione del suo pensiero e la lenta trasformazione del sistema che ha servito a lungo.

Il quadro presentato da Bondarev non è tanto quello di un’ideologia imposta con la forza, ma quello di una lenta “putinizzazione” degli spiriti, quanto meno nel contesto del ministero degli esteri, dove l’ex diplomatico ha lavorato per vent’anni (quasi la stessa durata del regno di Putin). Bondarev racconta come la libertà intellettuale degli inizi abbia ceduto il passo prima all’obbedienza cieca, poi alla necessità di mostrare la propria lealtà e infine alla menzogna per dire le cose che volevano sentire “ai piani alti”.

Come pappagalli
L’ex diplomatico riferisce come i suoi colleghi e lui stesso abbiano progressivamente capito che bisognava ripetere “come pappagalli” la propaganda dettata dal Cremlino, non per convincere il resto del mondo ma per rassicurare il regime della bontà delle sue posizioni.

Secondo Bondarev i diplomatici russi sapevano benissimo che Putin apprezzava il suo ministro degli esteri Sergej Lavrov perché rispondeva sempre “sì” e diceva al presidente quello che voleva sentirsi dire. Allo stesso modo i telegrammi diplomatici russi dovevano riferire a Mosca fino a che punto le posizioni del Cremlino fossero comprese all’estero e soprattutto minimizzare qualsiasi informazione contraria.

Bondarev si limita a illustrare il principale difetto dei regimi totalitari: la lealtà anteposta alla competenza

Non sorprende, scrive Bondarev, che Putin abbia creduto alla prospettiva di una facile conquista dell’Ucraina. Se solo avesse chiesto al suo governo una valutazione onesta, invece, avrebbe capito che si trattava di una missione impossibile. Secondo l’ex diplomatico, che in passato si è occupato delle questioni militari, molti sapevano che l’esercito russo non era potente come credevano gli occidentali, ma nessuno ha osato dirlo.

Bondarev non intende rivelare segreti di stato. Si limita a illustrare il principale difetto dei regimi totalitari: la lealtà anteposta alla competenza. Questa è diventata la regola nella Russia di Putin e lo stesso accade nella Cina di Xi Jinping, incoronato in settimana per un terzo mandato.

Chi avrebbe osato far presente a Putin che il suo esercito non era così forte come pensava? Chi oserà tenere testa a Xi sulla sua politica inefficace basata sul concetto di “zero covid”? I sistemi piramidali, con un solo capo e diverse cinghie di trasmissione, spesso appaiono efficaci, ma sono solo macchine per obbedire, non per riflettere.

La testimonianza di Bondarev fa inevitabilmente pensare a Il rinoceronte, lo spettacolo teatrale di Ionesco in cui il conformismo conduce al totalitarismo. Questa è anche una delle chiavi di lettura del fallimento di Putin in Ucraina.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it