27 agosto 2014 11:53

E così gli Stati Uniti stanno bombardando obiettivi in Iraq, sono attivi sul terreno con centinaia di forze speciali e stanno cercando obiettivi da bombardare in Siria. Chi è il nemico che gli Stati Uniti stanno attaccando in questo momento? Beh, a giudicare dai dibattiti politici negli Stati Uniti, la risposta più semplice è “non ne siamo sicuri”. Ecco la dimensione più straordinaria dell’ascesa e del potere dello Stato islamico (Is), dalle sue precedenti incarnazioni come Stato islamico in Iraq e Siria (Isis) e Al Qaeda in Mesopotamia: pochissime persone al di fuori dei suoi leader ne sanno davvero qualcosa, e anche la sua strategia e i suoi obbiettivi attuali restano un mistero.

Tutti sanno però che che ci troviamo di fronte un gruppo violento e aggressivo composto da decine di migliaia di uomini, che si sono ricavati una base territoriale nella regione compresa tra il nordest della Siria e il nordovest dell’Iraq, e continuano a intraprendere scorribande militari di portata limitata lungo i confini sotto il loro controllo in entrambi i paesi. I dibattiti sul fenomeno e sulla minaccia dello Stato islamico si concentrano su chi sia responsabile del suo sviluppo, su quanto si espanderà dal punto di vista territoriale e su quanto sostegno può contare nei paesi in cui non controlla alcun territorio.

Tutto questo è importante, certo, ma l’aspetto più terrificante del fenomeno non riguarda tanto i giovani estremisti che rispondono alla sua chiamata, quanto i fattori che, nella regione araba e oltre, ne hanno consentito la comparsa - fattori che continuano a plasmare ancora oggi la nostra problematica regione. Lo Stato islamico è un fenomeno vivo e in espansione, e i fattori che spingono la gente ad aderirvi sono validi in molti paesi. Perciò dobbiamo identificare i fattori che hanno creato la mentalità che spinge molti giovani a unirsi a movimenti simili e ad abbandonarsi al tipo di barbarie che l’organizzazione diffonde con i suoi video e i social network.

Sono certo che la ragione più importante, diffusa e persistente sia la maledizione dei moderni stati di polizia arabi che a partire dagli anni settanta hanno trattato i loro cittadini come bambini o pecore a cui era necessario insegnare solo obbedienza e passività. Altri fattori hanno avuto un loro peso nella tragedia di questi stati raffazzonati diffusi in tutto il mondo arabo, non ultime la minaccia posta dal sionismo e dal violento colonialismo israeliano (si veda quello che succede a Gaza oggi) e le continue intromissioni e aggressioni militari da parte di potenze straniere, tra cui gli Stati Uniti, alcuni paesi europei, la Russia e l’Iran.

Alla luce dei 45 anni che ho trascorso a osservare il mondo arabo e a scrivere delle sue condizioni reali, l’unica cosa che mi sorprende è perché i movimenti estremisti non siano comparsi prima. Negli ultimi quarant’anni, almeno dagli anni settanta, il cittadino medio arabo ha vissuto in sistemi politici, economici e sociali che non hanno offerto nessuna responsabilità, rispetto dei diritti politici e partecipazione. Ha subito la crescente corruzione dello stato, le devastanti disuguaglianze economiche che hanno spinto la maggioranza della popolazione nella povertà cronica, l’incapacità dello stato a fronteggiare le minacce del sionismo e le ambizioni egemoniche straniere, e l’impossibilità di esprimersi nella partecipazione pubblica e culturale.

Lo Stato islamico è la più recente (ma non l’ultima) tappa di un lungo viaggio fatto di umiliazione di massa, i cui principali responsabili sono i regimi autocratici arabi che hanno ruotato attorno a singole famiglie o clan e hanno goduto di un enorme e prolungato sostegno da parte dei loro protettori stranieri. Gli interventi militari stranieri contro paesi arabi (Iraq, Libia) hanno esacerbato questa tendenza, così come l’aggressione israeliana contro i palestinesi e altri popoli arabi. Ma la principale ragione dell’estremismo criminale dello Stato islamico è la condizione di centinaia di milioni di uomini e donne arabi che, generazione dopo generazione, si sono rassegnati a non poter godere delle libertà più elementari e a non poter soddisfare le proprie necessità primarie.

Il disorientamento di molti politici o analisti arabi o occidentali sull’ascesa dello Stato islamico e le possibili contromisure non merita alcuna comprensione. Alcune di quelle stesse persone che pontificano sulla minaccia degli estremisti sono state spesso coinvolte in modo diretto in azioni che ne hanno consentito la nascita (stati di polizia arabi corrotti, invasione dell’Iraq, sostegno incondizionato a Israele).

C’è un solo antidoto nel lungo periodo per eliminare lo Stato islamico e tutto ciò che esso rappresenta: smetterla di perseguire le politiche criminali che hanno umiliato milioni di arabi nell’ultimo mezzo secolo. Bombardare l’Iraq e la Siria servirà a guadagnare un po’ di tempo e richiederà l’appoggio delle forze di terra arabe e curde. Ma se il modello dei corrotti stati di polizia arabi non verrà superato, la disperazione e l’isteria di massa che lo Stato islamico rappresenta emergeranno di nuovo in forme ancora più estreme.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

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