Finalmente il direttivo della Banca centrale europea (Bce) ha tagliato il tasso relativo alle operazioni di rifinanziamento dallo 0,75 allo 0,5 per cento. L’ultima modifica del tasso risaliva al luglio del 2012.
L’istituto guidato da Mario Draghi poteva fare di più, portando il tasso allo 0,25 per cento. Questa scelta avrebbe favorito la svalutazione dell’euro e avrebbe abbassato i rendimenti dei titoli di stato nei paesi che oggi sono in difficoltà. Non è vero che con tassi d’interesse nominali prossimi allo zero la politica monetaria sia di fatto impotente. Tommaso Monacelli, in un’analisi su lavoce.info, indica l’esempio della Federal reserve (Fed), la banca centrale statunitense, che da tempo ha portato i tassi tra lo 0 e lo 0,25 per cento.
La politica della Fed dimostra come, più che il livello attuale dei tassi d’interesse, conti l’aspettativa del loro livello futuro: la Fed ha prima annunciato che li avrebbe tenuti a questo livello fino al 2014, poi si è impegnata a mantenere i tassi a zero fino a quando il tasso di disoccupazione resterà sopra il 6,5 per cento, ma a patto che il tasso d’inflazione non salga oltre il 2,5 per cento.
I dati sembrano dare ragione alla Fed: l’economia statunitense è in ripresa dopo il crollo seguito al fallimento della banca d’affari Lehman Brothers. Quindi, gli strumenti per avere un margine di manovra anche con i tassi d’interesse a zero esistono ed è strano che la Bce non se ne avvalga. Anche perché non richiederebbero particolari modifiche dei trattati né sarebbero in contraddizione con i diktat tedeschi.
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