25 novembre 2016 11:48

Mi sono sentita vicina a Zayn Malik di recente. Sarà pure un giovane, ricco e supercarino ex membro di una mega boy band, ma da quando è diventato un solista i giornali parlano di lui solo per la sua lotta contro la paura del palcoscenico, una cosa che suscita sempre la mia simpatia. Qualche settimana fa ha cancellato una serata a Dubai, adducendo “un grave stato ansioso”, e aveva fatto lo stesso a Londra, la scorsa estate, per la stessa ragione.

E non è finita qui. Già prima di lui, Selena Gomez aveva cancellato alcune date del tour per colpa degli attacchi di panico, e una cantate del gruppo Fifth Harmony, Camila Cabello, ha lasciato il palco durante un concerto nel Missouri, spiegando poi di essersi bloccata per l’ansia. Non tutti sono comprensivi, però. Twitter ha attirato i commenti degli spietati, che hanno definito Zayn a) un pappamolle e b) un idiota per avere intrapreso una carriera da solista se non era in grado di stare da solo su un palco.

Credo che la risposta più ovvia alla seconda accusa sia che non lo sapeva. Con i One Direction doveva portare il peso di un quinto dello spettacolo, e sentiva che solo un quinto dell’attenzione dello spettacolo sembrava focalizzata su di lui. In caso di bisogno poteva appoggiarsi sui compagni: l’unione fa la forza. La solidarietà cameratesca tra i membri di una band ha sorretto la fragilità emotiva e l’insicurezza perfino di artisti leggendari.

Sincerità spiazzante
Leggendo il libro di David Hepworth 1971. Never a dull moment, sono rimasta affascinata da quello che scrive dei Beatles dopo lo scioglimento del gruppo. George Harrison scoprì di non sentirsi a suo agio da solista, e quando John Lennon si esibì in un concerto con la Plastic Ono Band nel 1969, il panico da palcoscenico lo fece vomitare prima dello spettacolo. Scrive Hepworth: “Aveva trascorso migliaia di ore sul palco, ma mai con qualcuno che non fossero i Beatles. Ogni volta che si era voltato a destra, aveva sempre visto le stesse facce”.

Se perfino John era nervoso senza Paul, credo che Zayn meriti un po’ di comprensione se è nervoso senza Harry. E mi colpisce la sincerità degli artisti di oggi che dichiarano le ragioni per cui cancellano una data. Spero che questo significhi che stanno anche cercando aiuto – da uno psicoterapeuta o da un life coach – e che saranno più furbi delle generazioni precedenti, che spesso si curavano con pillole e alcolici.

Mentre pensavo a tutte queste cose sono andata a vedere Björk digital alla Somerset House, una presentazione audiovisiva della sua musica più recente. Avevo sentito dire che le cuffie per la realtà virtuale consentono una visione ravvicinata a 360 gradi che ti dà l’impressione che l’artista sia proprio lì davanti a te, e mi chiedevo se non potesse rappresentare un’alternativa ai tour per il cantante ansioso.

La realtà virituale non è un’alternativa al concerto dal vivo. Questa era solo una mia pia illusione

Forse una generazione più giovane, cresciuta coi videogame e abituata a vedere i video di YouTube sul cellulare potrebbe raggiungere un punto in cui non ha più bisogno di avere l’artista in carne e ossa davanti a sé. Finalmente potremmo consegnare la paura del palcoscenico alla pattumiera della storia. Ma la “mostra” di Björk si è rivelata più banale: un’ora di visione di video pop, anche se di gran bei video pop.

Ho indossato casco e cuffie, mi sono seduta su uno sgabello girevole con cui puoi goderti un’esperienza a 360 gradi, e l’ho vista esibirsi in Stonemilker su una spiaggia lunare islandese. Sì, è molto vicina e all’inizio ti sembra iperreale, come se fosse con te nella stanza. Ma proprio per questo vedi chiaramente i momenti in cui il playback va fuori sincrono ricordandoti che stai guardando una persona che non canta veramente, fa solo finta. La consapevolezza di assistere a un’esibizione filmata e non dal vivo è ineludibile.

No, non è un’alternativa al concerto dal vivo (né pretende di esserlo). Questa era solo una mia pia illusione. Quello che manca è il rischio di uno spettacolo dal vivo, la sensazione che da un momento all’altro possa accadere qualcosa di imprevisto.
Mentre scorrono i video, mi distraggo ripensando a quella volta che presi una tazza di tè con Björk alla mensa di Top of the pops. Com’era piccola, eppure così energicamente e elettricamente viva. Ci siamo fatte una foto insieme e poi io mi sono ritirata in camerino a bere un bel bicchiere di brandy per trovare il coraggio di salire su quel palco.

(Traduzione di Diana Corsini)

Questo articolo è uscito sul settimanale britannico New Statesman.

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