09 settembre 2017 12:04

Sono le nove di mattina e sono in vacanza, seduta da sola nell’immobilità delle prime ore del giorno. Gli unici rumori sono il gorgoglio del filtro della piscina e il frinire delle cicale: ritmico e incessante, come la parte delle maracas in un pezzo disco. Ben è andato in panetteria, tutti gli altri dormono ed è una bellissima ora della giornata, con la foschia sospesa sopra le colline e i vasi di oleandro, hibiscus e plumbago in giardino, tra sfumature pastello che vanno dal verde salvia al grigio e un aroma di pini nell’aria. Sono profondamente rilassata e felice.

Prendo in mano il mio libro, quello che mi sono portata da leggere per il Goldsmith prize, il premio letterario che va alla ricerca di romanzi che “rivelano un’audacia creativa”, “estendono le possibilità della forma del romanzo” ed “escono dagli schemi”… Insomma, avete capito di quali libri sto parlando.

Sono una fan di questo premio e finora mi sono goduta le mie letture, ma a volte quando sei su un aereo che gira in tondo sopra l’aeroporto e hai appena finito il tuo gin and tonic e richiuso il tavolino ribaltabile, o su una sdraio al sole alle nove di mattina, il tuo cervello ha esigenze diverse. E mentre guardo questo libro con cui combatto già da qualche giorno, mi prende lo sconforto perché ho fatto la scelta sbagliata e mi sono portata in vacanza il libro più impegnativo e meno divertente.

Liscio come il rosé
Dal tavolino accanto alla sdraio mi guarda l’alternativa: il libro di riserva che ho messo in valigia perché “non si sa mai”. È To kill the president di Sam Bourne (pseudonimo del giornalista del Guardian Jonathan Freedland).

Sentendomi un po’ in colpa, apro quel libro e dopo due pagine non riesco più a staccarmene. Va giù liscio e piacevole come il rosé locale, e lo divoro in due soli giorni. Ritmo veloce e trama avvincente, è una lettura perfetta per le vacanze, anche se forse fin troppo plausibile in questa particolare vacanza. Sono certa di non rovinarvi la sorpresa se vi dico che comincia con un presidente che somiglia molto a Trump e che cerca di ordinare un attacco nucleare preventivo contro la Corea del Nord.

Alla fine della settimana sono già qui a scrutare semiseria l’orizzonte nel caso che spunti un fungo in lontananza. Strani tempi davvero

Prima del nostro arrivo, qui nel sud della Francia erano divampati incendi che avevano costretto decine di migliaia di persone a lasciare le loro tende o case di vacanze e a passare la notte sulla spiaggia di Saint-Tropez. Al telegiornale avevamo visto immagini di colline in fiamme e boschi avvolti da un fumo denso, e così ogni mattina mi guardavo intorno cercando pennacchi di fumo levarsi verso il cielo, qualcosa che qui ho già visto.

E alla fine della settimana, tra il libro che ho appena letto, i tweet spericolati di Chi Sapete Voi e gli articoli che mi arrivano sul telefono intitolati “Quanto dovrei preoccuparmi di una guerra nucleare con la Corea del Nord?”, sono già qui a scrutare semiseria l’orizzonte nel caso che spunti un fungo in lontananza. Strani tempi davvero.

A parte questa piccola preoccupazione, la vacanza va come sempre: oziamo, mangiamo e non facciamo niente. Con gran divertimento di Ben, ho portato con me dei manubri galleggianti e un libretto intitolato La palestra in piscina. Nel tentativo di controbilanciare l’eccesso di calorie dei formaggi, per mezz’ora al giorno cammino avanti e indietro dentro la piscina, che è come attraversare la melassa o correre nel tuo peggiore incubo.

Accendo spirali antizanzara ovunque, e mi sistemo nella mia piccola nuvola di fumo. E alle tre del pomeriggio, quando fa troppo caldo per pensare, mi chiedo perché quest’anno non siamo andati nel Lake District. Poi, alle nove di sera, quando l’aria è tiepida e leggera, il sole splende arancione dietro un cipresso, e le colline si tingono di malva e antracite, mi chiedo perché non viviamo qui.

Prima di partire, faccio un ultimo rapido giro della casa – che affittiamo da anni d’estate – per controllare se abbiamo preso tutti i caricabatterie e le infradito. Al piano di sopra mi fermo un attimo nella stanza più grande, dove una volta dormivano tutti e tre i ragazzi e che ora è stata requisita da una delle mie due figlie adolescenti e dal suo ragazzo.

All’improvviso, li rivedo piccoli che mi sgambettano intorno: il bagno la sera tardi dopo l’ultima nuotata, stesi sul letto mentre io asciugo orecchie e spalmo lozioni su spalle rosa e pomate su bolle pruriginose.

Gli scuri sono chiusi e la stanza è soffocante e silenziosa, ma piena dei fantasmi di vacanze passate: ogni anno le stesse, ma sempre diverse.

(Traduzione di Diana Corsini)

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