17 ottobre 2015 17:10

La crisi irachena si è spostata a nord, raggiungendo il governo regionale curdo. A Sulaymaniya alcuni manifestanti hanno circondato il luogo in cui si stava svolgendo il nono incontro tra i principali partiti, protestando per il loro disinteresse nei confronti della crisi sociale che sta attraversando il paese: venti manifestanti sono rimasti feriti negli scontri con la polizia.

La crisi va avanti da mesi, durante i quali i dipendenti statali non hanno ricevuto il loro stipendio. Eppure i partiti non hanno raggiunto nessun accordo sulla presidenza, bloccando ogni ulteriore trattativa. Il partito del presidente Masoud Barzani, il Partito democratico del Kurdistan (Pdk), ha cercato di costringere gli altri a estendere il mandato di Barzani di alti due anni, dopo gli otto già fatti. Farà lo stesso con le altre cariche istituzionali? E poi che succederà?

In molte città del Kurdistan iracheno sono scoppiate le rivolte e i manifestanti hanno dato fuoco ad alcune sedi del Pdk. A Erbil la reazione è stata molto dura. Il partito di Barzani ha accusato l’opposizione di essere dietro le violenze e ha impedito al presidente del parlamento, che appartiene all’opposizione, di raggiungere l’aula. Molti dei giornalisti che seguivano le manifestazioni sono stati costretti a lasciare Erbil e sono stati portati a Sulaymaniya con la forza. Tutti gli avvenimenti hanno ricordato alla popolazione il conflitto tra i due partiti durante la guerra civile curda del 1994-1998. Il paese sta tornando indietro nel tempo?

(Traduzione di Stefania Mascetti)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it