10 marzo 2017 11:33

L’8 marzo a Baghdad il clima era mite e ho partecipato a tre incontri organizzati per celebrare le donne e i loro sforzi per costruire un Iraq pacifico. Una settimana prima le mie due nipoti, Sara, 25 anni, e Nour, 24 anni, mi avevano chiesto di non regalargli dei fiori per l’occasione, ma di portarle a sentire l’orchestra sinfonica che suona ogni mese al teatro nazionale. In programma c’era Shahrazad.

Mentre nella parte ovest di Mosul i combattimenti s’intensificano, molti iracheni hanno condiviso sui loro profili Facebook e Twitter la foto di una donna che scappa dalla città stringendo uno dei suoi due figli al petto e tenendo l’altro per mano. Sul suo volto c’è un’espressione terrorizzata che è diventata ormai il simbolo dell’orrore dei profughi per la guerra.

La sfida politica
Come ha annunciato Talib Shgati, il comandante della squadra dell’antiterrorismo iracheno, in un importante incontro a Sulaymaniya, per allontanare definitivamente il gruppo Stato islamico da Mosul ci vorrà ancora un mese. E un gruppo di giovani iracheni ha già cominciato a raccogliere soldi per aiutare gli sfollati di Mosul.

Nei prossimi giorni sono previsti duri combattimenti e ultimamente le difficoltà principali sono state i cecchini e le autobombe. Ma la sfida più importante sarà quella politica – come sarà possibile mantenere l’Iraq independente e unito – come ha indicato chiaramente il primo ministro Haider al Abadi nel corso della sua visita agli edifici governativi che recentemente sono stati strappati al controllo dei jihadisti.

(Traduzione di Francesca Sibani)

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