22 dicembre 2017 16:58

Dal 18 dicembre il Kurdistan iracheno è in fiamme. A Sulaymaniyya un gruppo di manifestanti ha incendiato gli uffici dei principali partiti. Molti negozi del centro sono chiusi per sciopero. Le forze di sicurezza curde, conosciute come Asayesh, hanno aperto il fuoco contro le persone che protestavano, uccidendone sei e ferendone altre duecento. Inoltre hanno compiuto dei raid nella sede di Nalia radio and television (Nrt), dove hanno distrutto gli uffici e le apparecchiature usate per trasmettere. Alcuni giornalisti sono stati arrestati con l’accusa di aver “incoraggiato la violenza”.

Un altro segno della profonda crisi è che due partiti, Gorran e il Gruppo islamico del Kurdistan, hanno ritirato i loro sei ministri dal governo (composto da 21 ministri) perché sostengono che abbia “perso la legittimità”, come ha dichiarato il deputato di Gorran, Abdul Razaq Shari. “Avevamo presentato molte proposte di riforma ma i due principali partiti le hanno sempre ignorate o respinte”.

Una dinamica nuova di scontro
Dopo il 2003 il Kurdistan iracheno ha vissuto una stagione di stabilità e prosperità economica, almeno rispetto al resto del paese. Ma dal 2014 è cominciato il declino, innescato dalla decisione del governo centrale di boicottare il governo autonomo di Erbil, che aveva cominciato a esportare petrolio senza autorizzazione. La crisi si è poi intensificata dopo il referendum sull’indipendenza del Kurdistan iracheno dello scorso 25 settembre.

I recenti scontri rientrano in una dinamica completamente nuova, spiega Othman Saleh, un analista politico di Sulaymaniyya: “In passato i manifestanti curdi chiedevano al loro governo le riforme, ora invece alzano la voce per chiedere che se ne vada”. Le autorità di Erbil sono accusate di non aver mantenuto le loro promesse e non pagano i dipendenti pubblici da sei mesi. È un momento davvero difficile per il Kurdistan iracheno e i suoi leader politici.

(Traduzione di Francesca Sibani)

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