27 luglio 2018 14:47

Il gruppo Stato islamico (Is) è ancora attivo in Iraq, anche se sono trascorsi otto mesi da quando il primo ministro Haider al Abadi ha annunciato la vittoria definitiva contro il più pericoloso gruppo terroristico al mondo.

Dopo la disfatta del 9 dicembre 2017, molti jihadisti erano fuggiti nel deserto, in una zona compresa tra le quattro province irachene di Anbar, Mosul, Saladin e Kirkuk. Dai loro rifugi nascosti in una vasta area rocciosa, alcuni gruppi armati fedeli all’Is hanno ripreso a operare sequestrando le persone di passaggio sulla strada tra Kirkuk e Saladin. A fine giugno hanno pubblicato un video che mostrava sette militari legati e bendati, e hanno minacciato di ucciderli se il governo non avesse rilasciato alcune jihadiste.

Nonostante Al Abadi avesse promesso la liberazione degli ostaggi, dopo una settimana i sette soldati sono stati ritrovati morti. Per ritorsione il primo ministro ha ordinato l’esecuzione di dodici jihadisti, già condannati a morte.

Il dilemma di Al Abadi
Nel vuoto creato dall’assenza di governo, dopo la fine della legislatura parlamentare, la ripresa delle attività del gruppo Stato islamico nelle quattro province sta suscitando il timore di un ritorno dei jihadisti. Molti abitanti dei villaggi hanno già abbandonato le loro case.

Ali Nouri, un rappresentante delle autorità della provincia di Saladin, ha lanciato l’allarme: “I jihadisti hanno attaccato molti villaggi e hanno rapito trenta persone”. Secondo alcune testimonianze, i gruppi armati agiscono anche in pieno giorno. Alla fine del suo mandato, Al Abadi si trova in una situazione davvero complicata e deve decidere se dipendere dai bombardamenti aerei degli Stati Uniti (che si sono dimostrati meno efficaci in vaste aree desertiche e rocciose) oppure mobilitare le milizie tribali locali.

(Traduzione di Francesco De Lellis)

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