26 ottobre 2020 16:04

Gli abitanti del villaggio di Farhatiya, a sudovest di Baghdad, sono piombati nel panico dopo lo sconvolgente massacro avvenuto nelle prime ore della mattina di domenica 18 ottobre. Alcuni affiliati di una milizia sciita hanno attaccato il villaggio sunnita e hanno sequestrato dodici persone. I corpi di otto di loro sono stati trovati più tardi dalle famiglie, mentre gli altri sono ancora dispersi.

Le autorità locali del governatorato di Salah al Din sono in attesa dell’esito delle indagini delle forze di sicurezza. Intanto il primo ministro Mustafa al Kadhimi, che il giorno dopo il massacro è partito per una visita in Europa, ha promesso che i colpevoli saranno presto identificati.

Reazioni opposte
Le autorità locali temono un nuovo esodo degli abitanti in seguito al massacro, in una zona in cui l’80 per cento della popolazione è ancora sfollata a causa della guerra contro il gruppo Stato islamico (Is). Il vicegovernatore della regione, Ismail al Haloub, ha dichiarato in conferenza stampa che le famiglie delle vittime avrebbero identificato alcuni dei responsabili del massacro, ma che in questo momento devono essere protette da eventuali minacce.

Al Haloub ha ribadito la sua richiesta che siano la polizia e l’esercito a prendere in mano la gestione della sicurezza nell’area di Farhatiya e che per evitare ulteriori massacri tutte le milizie siano espulse dalla regione.

Dall’altra parte, Hadi al Amiri, leader del gruppo armato filoiraniano Badr, ha agitato la minaccia di un piano che prevederebbe la creazione di una regione sunnita, sul modello di quella curda, dichiarando che “il progetto sta per essere realizzato”.

Di ritorno dal viaggio in Europa (dove ha visitato Francia, Germania e Regno Unito), Al Kadhimi deve affrontare tre spinose questioni. Dovrà accertare la verità sugli omicidi di Farhatiya, individuare gli ignoti colpevoli di aver appiccato il fuoco alla sede del Partito democratico del Kurdistan a Baghdad, ma anche stabilire le responsabilità dell’uccisione di 700 manifestanti nelle proteste dell’ultimo anno a Baghdad e nelle città meridionali.

(Traduzione di Francesco De Lellis)

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