27 giugno 2014 07:00

È una città piena di terrazze, tecnologia, giovani per strada, campanili cattolici, cupole musulmane e cipolle ortodosse. È una città dove si mescolano i secoli, le religioni e gli imperi defunti, e il cui boom economico dura da 15 anni. Eppure, prima ancora di essere una città, Sarajevo è un manuale di storia europea da leggere e rileggere.

Sabato ricorrerà il centenario dell’assassinio dell’arciduca d’Austria a Sarajevo, l’evento che avrebbe trascinato il vecchio mondo nella Prima guerra mondiale, una mostruosa mattanza in cui l’Europa ha creduto per l’ennesima volta di poter ristabilire gli equilibri tra le potenze rivali e che invece ha finito per distruggere l’ordine costituito.

Un secolo dopo, mentre si prepara a commemorare l’assassinio di Sarajevo, l’Europa è spinta dal caso e dalla necessità a fare un passo avanti verso l’unità modificando le politiche dell’Unione e democratizzando il suo funzionamento. A Bruxelles è arrivato il tempo del cambiamento, e intanto i proiettori della storia illuminano Sarajevo e ci ricordano fino a che punto il nostro continente è fragile e segnato da antichi rancori che potrebbero riesplodere in qualsiasi momento.

Dalla Grande guerra sono scaturite la rivoluzione russa, la prima affermazione degli Stati Uniti come potenza emergente sulla scena mondiale, la fine dell’impero ottomano e di quello austro-ungarico, l’espansione degli imperi coloniali francese e britannico e la nascita delle frontiere attuali del Medio Oriente, le stesse che oggi sono minacciate dall’azione dei jihadisti in Iraq e Siria.

Il mondo in cui viviamo non sarebbe lo stesso senza l’assassinio di Sarajevo, la cui conseguenza più tragica è stato l’incubo nazista, che non sarebbe mai esistito se i vincitori del 1918 non avessero imposto alla Germania una punizione inaccettabile e umiliante. In un certo senso l’ascesa di Hitler affonda le sue radici a Sarajevo.

Oggi la città bosniaca mostra i segni di un conflitto più recente e di un assedio criminale portato dai paramilitari serbi tra il 1992 e il 1996 e costato la vita a 10.000 persone. Quella nell’ex Jugoslavia è stata una di quelle guerre di spartizione un tempo così comuni, e ha minacciato la riconciliazione franco-tedesca al punto tale da convincere Helmut Kohl e François Mitterrand a cementare l’unità europea creando la moneta unica. Senza Sarajevo probabilmente non ci sarebbe l’euro.

In questi giorni non possiamo pensare a questa città rinata senza ricordarci che prima di crollare la Jugoslavia aveva dimenticato la guerra, come l’abbiamo dimenticata noi oggi. Eppure, senza che ce ne accorgiamo, una guerra è in corso ed è vicina, così vicina che ci conviene sperare che la nuova svolta di Bruxelles sia prontamente confermata, approfondita e assimilata.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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