10 aprile 2015 12:02


Tor Marancia la chiamavano Shanghai, era un agglomerato di casupole basse, di una stanza, in cui vivevano famiglie numerose. A Shanghai le abitazioni avevano i servizi in comune, i pavimenti in terra battuta e si allagavano d’inverno, quando il fosso di Tor Carbone era in piena. Le prime case furono costruite nel 1933 dal governatorato di Roma su una zona paludosa in piena campagna, vicino alla Garbatella. Per i continui allagamenti e la densità abitativa, la borgata si guadagnò il nome della più grande città cinese, Shanghai, la metropoli del mondo più vulnerabile alle alluvioni.

Nel quartiere, tirato su in cinquanta giorni, furono trasferiti gli abitanti del centro storico di Roma, quando le loro case furono abbattute dal regime fascista per costruire via dei Fori Imperiali. Andarono a vivere a Shanghai anche famiglie di emigranti che arrivavano dal centro e dal sud dell’Italia. Nel 1948 Shanghai era così malsana che fu deciso di raderla al suolo e di costruire al suo posto i caseggiati popolari, oggi gestiti dall’Azienda territoriale per l’edilizia residenziale (Ater). “Siamo arrivati a Tor Marancia d’estate”, racconta Franco Romani, uno degli abitanti più anziani del quartiere. “Ma da ottobre a marzo le case si allagavano, diventavano come palafitte, esondava il fosso con tutti i pesci e riuscivamo a pescare direttamente in cucina”, ricorda.

Quando lo street artist Mr. Klevra è arrivato per la prima volta a Tor Marancia racconta di aver visto una scritta sul muro di una delle palazzine del primo lotto, “Welcome to Shanghai”, e di esserne rimasto colpito. “I ragazzi con cui parlavo rivendicano questo senso di appartenenza alla borgata, si fanno chiamare ‘sciangaini’, anche se la storia di Shanghai devono avergliela raccontata i nonni”, dice.

Il quartiere è noto per l’alto tasso di criminalità e di spaccio. Era originario di Tor Marancia Angelo Angelotti, uno dei componenti storici della banda della Magliana. Angelotti detto “er Caprotto” è stato accusato anche di essere complice nell’omicidio del boss della banda, Enrico De Pedis detto “Renatino”, ucciso in via del Pellegrino il 2 febbraio 1990. Raccontano i più anziani che il quartiere era considerato un covo di rapinatori, tanto che negli anni settanta chi in città voleva fare una rapina si rivolgeva ai malviventi locali. L’eroe della borgata, tuttavia, è il calciatore della Roma Agostino Di Bartolomei, nato a Tor Marancia. Lo storico capitano della squadra all’epoca della vittoria dello scudetto nel 1983, idolatrato dalla tifoseria romanista, ha imparato a giocare a calcio nel campo della chiesa di quartiere, la san Filippo Neri, conosciuta come la “chiesoletta”.

A Tor Marancia vivono attualmente circa ventimila persone e i due terzi delle case della zona sono di proprietà dell’Ater, l’ente regionale per le case popolari. Hanno diritto ad avere in affitto questo tipo di abitazioni famiglie con un reddito stabilito (un nucleo familiare non deve superare i 20.344,92 euro all’anno). La maggior parte degli inquilini abita nelle case dagli anni cinquanta, in pochi casi gli affittuari sono stati sostituiti da nuovi inquilini, spesso i figli sono subentrati ai genitori nel contratto con l’ente. Il quartiere è considerato difficile: con un alto tasso di abbandono scolastico, disoccupazione e presenza della criminalità organizzata.

Alla Shanghai romana e alle sue storie si sono ispirati gli artisti che negli ultimi mesi hanno partecipato al progetto promosso dall’associazione culturale 999 contemporary e finanziato dal comune di Roma e dalla fondazione Roma: 21 murales alti 14 metri dipinti sulle facciate delle case popolari del lotto uno di Tor Marancia.

Nostra signora di Shanghai è la madonna bizantina di Mr. Klevra che con i suoi rossi, azzurri e ocra troneggia sulle palazzine del lotto dove vivono circa cinquecento persone. Mr. Klevra, che è un amante dell’iconografia bizantina, spiega: “Volevo lasciare un’immagine rassicurante e accogliente, l’immagine tenera di un abbraccio tra una donna e un bambino. La madonna rappresenta Roma che abbraccia il figlio (la borgata), che le richiede attenzioni e tenerezza. È quello che questo quartiere chiede alla città: attenzioni e amore”.

Nostra signora di Shanghai e lo street artist Mr. Klevra.

Anche Diamond nel suo murale in stile art nouveau ha voluto ricordare Shanghai: una donna addormentata con dei fiori di oleandro tra i capelli tiene in mano un diamante e dalla cornice spunta un drago, omaggio al bizzarro nomignolo cinese dell’ex borgata romana.

“Roma è una bella donna addormentata, immobile”, spiega Diamond, “una città che non riesce a svegliarsi dal torpore”.

Stefano Antonelli dell’associazione 999 ricorda che quando, a maggio del 2014, è arrivato nel quartiere per realizzare il primo murale, insieme all’artista argentino Jaz, un gruppo di ragazzi li ha circondati con fare aggressivo. “Erano della zona, quasi tutti camerieri, dediti anche ad altri piccoli traffici. Non erano contenti della nostra intrusione”, racconta Antonelli. “Abbiamo parlato a lungo con loro, abbiamo cercato di coinvolgerli. Adesso, dopo tanti mesi di questo lavoro, si costituiranno in associazione per gestire il patrimonio di arte pubblica che gli abbiamo lasciato”.

Il murale Hic sunt adamantes dell’artista Diamond.

All’inizio i residenti del quartiere sono stati sospettosi e anche severi nei confronti degli artisti arrampicati sugli elevatori idraulici. Una signora del quartiere, mentre Mr. Klevra disegnava la sagoma della sua madonna, lo ha chiamato e gli ha detto: “A regazzì, ma nun lo vedi che sta madonna l’hai fatta troppo cicciona?”. Anche Antonelli ricorda l’ostilità degli abitanti: “Quando siamo arrivati con gli elevatori nel caseggiato c’è stata una rivoluzione, sono scese donne e uomini in strada, volevano impedirci di lavorare. Poi, quando hanno visto che eravamo autorizzati e che rappresentavamo le istituzioni, hanno cominciato a venire da noi e a raccontarci i loro problemi, a chiederci di intercedere, perché nessuno si occupa di loro, sono abituati a vedere le istituzioni solo in campagna elettorale”.

Lentamente gli abitanti del quartiere si sono abituati alla presenza degli artisti e li hanno adottati: chi portava il pranzo, chi la cena. “Mentre mangiavo un panino dignitoso del discount è venuto un signore che mi ha detto di scendere dalla gru, aveva portato un pranzo serio: pappardelle al ragù fatte in casa. E così ogni giorno”, dice Mr. Klevra. Sono soprattutto i ragazzi del quartiere a dimostrare interesse per i murales e per gli artisti: raccontano le loro storie difficili, si confidano, c’è chi vuole fare boxe, chi vuole emigrare, chi parla dei suoi problemi quotidiani con la giustizia. La storia di Andrea Vinci, un ragazzo disabile delle palazzine popolari, colpisce tutti. Andrea oggi ha 27 anni, quando era ragazzino, tuffandosi da uno scoglio, si è fatto male e ha perso la mobilità agli arti inferiori. Abita al secondo piano e nel palazzo non c’è l’ascensore. Ogni giorno suo fratello viene da Ostia, dove abita, e se lo prende in braccio per farlo scendere, poi ogni sera lo riporta a casa, caricandolo sulle spalle.

I writer Lek & Sowat si sono ispirati alla storia di Andrea Vinci e gli hanno dedicato Veni, vidi, vinci, un omaggio al motto latino e al ragazzo del secondo piano. Dopo il successo dei murales, la fondazione Roma ha promesso di finanziare la costruzione di un ascensore, ci racconta Stefano Antonelli della 999 contemporary.

L’artista francese Seth, invece, ha raccontato un’altra storia del quartiere disegnando un bambino che sale delle scale colorate e guarda oltre i palazzi di cemento del caseggiato. Il murale è dedicato a Luca, che abitava nel palazzo ed è morto dopo un incidente avvenuto mentre giocava a calcio.

L’artista francese Seth e sullo sfondo il suo murale, Il bambino redentore.

Un giro turistico in periferia. Il progetto di riqualificazione di Tor Marancia è costato complessivamente 166mila euro: 45mila sono arrivati dalla fondazione Roma, mentre l’amministrazione comunale ne ha spesi altri trentamila. Il resto dei soldi l’ha messo l’associazione 999 contemporary, spiega Stefano Antonelli che ha ideato il progetto.

Alla fine di aprile del 2015 il piano dovrebbe essere concluso con la realizzazione di 21 opere sulle facciate delle undici palazzine del lotto uno. La gestione dei graffiti sarà affidata ai ragazzi della zona che si sono costituiti in associazione e ai quali gli artisti hanno devoluto i diritti di riproduzione delle opere, che potranno essere stampate su magliette e souvenir.

Uno dei murales a Tor Marancia, Natura morta di Reka.

Inaugurando il progetto il 9 marzo, il sindaco di Roma Ignazio Marino ha parlato di “uno straordinario museo a cielo aperto” e di “un tour turistico complementare” a quello classico che comprende il parco archeologico della Roma antica e il centro della città. “Come avviene in altre città del mondo, anche a Roma molti andranno a vedere i Fori, il Colosseo e poi si sposteranno a vedere i murales di Tor Marancia e di altre zone della città”, ha detto Marino. Al progetto “Roma creativa” il Campidoglio ha destinato un totale di 1,3 miliardi. Per la realizzazione di 38 opere a Tor Marancia, San Basilio, Tor Pignattara sono stati già spesi duecentomila euro.

Intanto, turisti e curiosi hanno cominciato ad attraversare la Cristoforo Colombo per visitare i lotti di Tor Marancia.

Ferdinando Scrascia è uno dei tanti visitatori, non abita nel quartiere, ma da quando hanno cominciato a realizzare i murales, passa a Tor Marancia almeno una volta al mese: “Per Roma potrebbe essere un inizio. Ogni quartiere dovrebbe avere un punto di raccolta per gli artisti di strada. Per il quartiere c’è riqualificazione, i residenti prendono coscienza del posto dove vivono e che magari non avevano mai visto con queste potenzialità turistiche”.

Gli abitanti del quartiere sono contenti dell’interesse improvviso che stanno sperimentando, ma esprimono anche qualche perplessità. “Oltre a questo ci sarebbe da sistemare i palazzi, i cornicioni che cascano a pezzi, i giardini. Ma tutto sommato questa iniziativa mi piace, ha ravvivato un po’ il quartiere”, dice Roberto Terenzi che nel primo lotto ci è nato e ci ha vissuto per tutta la vita. “Prima non veniva mai nessuno a visitarci, adesso un sacco di gente torna in borgata”, aggiunge Claudio Ercoli, un altro abitante del quartiere. Nel cortile del caseggiato intanto sono spuntati cartelli improvvisati scritti a penna dai condomini per i turisti: “Per i visitatori: questo è un condominio, si prega di non gettare le cartacce a terra”.

Durante i lavori di Cascata di parole, di Satone.

L’ambiguità delle istituzioni. A Roma la cosiddetta street art o arte urbana, una macrocategoria che racchiude tecniche e generi diversi – dallo stencil ai poster, dall’arte murale alla pittura con le classiche bombolette spray – è arrivata intorno ai primi anni duemila, ma il fenomeno è diventato popolare solo negli ultimi cinque o sei anni, in ritardo rispetto ad altre metropoli come New York, Londra o Berlino, sulla scia del successo di artisti come Banksy e JR.

Anche le istituzioni e le gallerie d’arte si sono accorte del potenziale della street art, che fino a quel momento era stata una disciplina praticata in maniera illegale, fuori dei tradizionali circuiti dell’arte. “Succede spesso quando un fenomeno underground e di nicchia diventa un fenomeno di massa”, spiega la blogger statunitense Jessica Stewart, autrice del libro Street art stories. Roma.

La realizzazione di opere commissionate da associazioni e istituzioni nei quartieri più degradati della città può rappresentare una forma di turismo alternativo a quello tradizionale di musei, chiese e opere d’arte antica, spiega Stewart, ma bisogna anche stare attenti ai meccanismi di “gentrificazione” che questo tipo di operazioni possono produrre. “In che modo i residenti dei quartieri periferici beneficeranno delle entrate del turismo? I soldi del turismo aiuteranno a migliorare le infrastrutture? Questa domanda deve essere sempre presente, perché queste zone hanno problemi molto grossi”, dice Jessica Stewart.

È già successo a Brooklyn (New York), a Kreuzberg (Berlino), a Buenos Aires: i prezzi delle case hanno cominciato a crescere e i vecchi abitanti del quartiere si sono spostati non riuscendo più a sostenere le spese della zona diventata di moda. I murales e i graffiti rappresentano un’attrattiva e rilanciano le zone più disagiate delle città, spesso sono realizzati dagli artisti con intenti di denuncia o di protesta, ma l’effetto può essere quello di una rivalutazione solo immobiliare dei quartieri.

Il sociologo Franco Ferrarotti nel suo libro Roma Caput Mundi, a proposito di interventi di rivalutazione delle borgate negli anni settanta, ha scritto:

Una visione puramente estetica o moraleggiante del problema di Roma, sia pure nei termini importanti di scarsità di verde pubblico, sovrappopolazione, vita culturale eccetera rischia di riuscire puramente estetizzante o evasiva. […] Solo ideologi sprovveduti possono ritenere che Roma sia la capitale del capitale. Roma è la capitale della rendita. Per esempio le iniziative filantropiche a favore dei baraccati si risolvono in uno strumento potente di valorizzazione dei terreni in mano alla speculazione privata.

La street art nasce come forma d’arte spontanea, contestuale e il più delle volte gratuita. Ma questo aspetto con il tempo sta evolvendo. “All’inizio la street art era un fenomeno spontaneo, si usciva e si trovava un posto, spesso in maniera illegale, si realizzava la propria opera rifiutando di guadagnarci. Ma negli ultimi anni si sta affermando il muralismo, la realizzazione di grandi murales su commissione, in posti che non sono scelti dall’artista, ma che gli sono assegnati. Questo introduce la necessità di un grande senso di responsabilità da parte dell’artista, la sensibilità di interagire con il posto dove si lavora e di avercelo sempre presente mentre si lavora”, afferma Stewart. Bisogna tenere conto di chi, davanti o dietro a quel muro, ci vive e ci vivrà anche quando l’artista se ne sarà andato.

Alice Pasquini, in arte Alicè, è una delle più famose street artist romane, ha lavorato a Parigi e in Spagna, ma poi è tornata a Roma, nel suo studio di San Lorenzo. Alice esprime qualche dubbio su quella che definisce la “gallerizzazione” della street art: “Se da un lato nell’ultimo periodo è tutto un fiorire di festival alternativi, di gallerie che si occupano di street art, di associazioni che la promuovono, dall’altro lato però i ragazzini che fanno tag per strada vengono denunciati per devastazione e in alcuni casi per associazione a delinquere e rischiano diversi anni di prigione e multe salate”, spiega l’artista romana.

Anche lei è imputata in un processo in corso a Bologna per aver realizzato opere in diversi luoghi pubblici. “Da una parte l’istituto italiano di cultura o lo stesso Campidoglio mi commissionano opere, riconoscendo il valore di quello che faccio, dall’altro per le mie opere sono sotto processo”, racconta Alice. “L’impressione è che da una parte si istituzionalizza la street art, ma dall’altra operazioni come quella di Tor Marancia servono anche a segnare un confine tra legalità e illegalità, tra quello che è arte e quello che non lo è”.

Diamond è uno degli artisti che hanno partecipato al progetto di Tor Marancia. Qualche anno fa è stato sorpreso dalla polizia con un gruppo di amici mentre realizzava un graffito su un muro abbandonato della città, e per questo ha subìto un processo penale per devastazione. Un processo durato anni che gli ha cambiato la vita. “Mentre il processo era in corso non potevo più dipingere in strada, ho dovuto cambiare, passare a realizzare poster e stencil”, racconta. “Se oggi mi dovesse succedere ancora qualcosa del genere chiamerei il sindaco e gli direi: decidi o sono un artista o sono un vandalo”.

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