16 marzo 2016 17:57

Isolata per generazioni dall’embargo imposto dagli Stati Uniti e dalla sua fedeltà al comunismo, Cuba si trova improvvisamente al centro delle Americhe, in parte grazie alle circostanze, ma soprattutto grazie alla perizia, all’astuzia e alla fortuna del suo presidente, Raúl Castro, fratello del padre fondatore della rivoluzione, Fidel Castro.

L’ambasciata statunitense riaperta lo scorso anno è in fermento per l’imminente e storica visita di due giorni che Barack Obama effettuerà il 21 marzo, la prima di un presidente statunitense da quando Calvin Coolidge inaugurò qui il congresso panamericano nel 1928. Il presidente Dwight Eisenhower troncò i rapporti diplomatici e commerciali con l’isola nel 1961.

Alla lista di visitatori illustri giunti all’Avana di recente – dopo il giro dell’isola di papa Francesco l’anno scorso – si aggiungono i Rolling Stones, che arriveranno il 25 marzo, due giorni dopo la partenza di Obama, per un concerto all’aperto gratuito nello stadio della città. Questo evento, più di ogni altro, segna la riapertura al mondo dell’ex fortezza di Cuba.

L’organizzatore, Osmani López Castro dell’Istituto di musica cubano, si aspetta un pubblico di quattrocentomila persone al concerto degli Stones, quando saranno in servizio metà degli agenti di sicurezza dell’isola. “Stiamo creando le condizioni per consentire a chiunque di godersi questo spettacolo storico in una bella atmosfera”, dice.

Apertura economica e diplomatica

Su un diverso piano diplomatico, Raúl Castro per quattro anni ha ospitato all’Avana e si è fatto garante degli epici colloqui di pace tra il governo colombiano e la più lunga insurrezione dell’ultimo secolo, quella delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc), di ispirazione marxista. Un’insurrezione che infuria dal 1964, le cui radici affondano nelle violenze esplose nel 1948, e che ha provocato la più massiccia migrazione interna del mondo. Dal 2012 i negoziatori sono rintanati in un albergo all’Avana, ospiti di Castro, per cercare di porre fine alla guerra.

I mezzi d’informazione cubani hanno sempre lodato il sostegno “positivo” e gli incontri promossi da Castro con le delegazioni di pace: da un lato ci sono diplomatici colombiani e due generali, e dall’altro quattro leader delle Farc insieme ai loro assistenti. L’ambasciatore colombiano a Londra, Osorio Londoño, ha dichiarato: “Senza Raúl Castro e [il defunto] presidente venezuelano Chávez, questo processo di pace non ci sarebbe mai stato”.

Il comandante supremo delle Farc, Rodrigo Londoño, noto con il nome di battaglia di Timochenko, ha dichiarato la scorsa settimana: “Stiamo lavorando a un cambiamento in Colombia, per porre fine alla violenza nella vita politica”. Il suo principale negoziatore, Iván Márquez, ha dichiarato: “I nostri combattenti vogliono la pace: siamo pronti a portare il nostro programma di riforme nella vita politica”. Un altro personaggio in vista, che potrebbe guidare una futura presenza delle Farc nella politica del paese ha, però, avvertito: “Il fatto che siamo venuti qui lasciando il campo di battaglia non significa che potranno sconfiggerci al tavolo dei negoziati”.

Uno dei principali negoziatori per conto del governo, il diplomatico ed ex viceministro della difesa Sergio Jaramillo, nonostante un attentato dinamitardo a Bogotá, la scorsa settimana ha dichiarato mentre si trovava all’Avana: “Quando abbiamo cominciato, nessuno parlava di pace da otto anni. Adesso, ci siamo quasi”.

La sua famosa architettura fatiscente sta lentamente ma inesorabilmente andando incontro a una bella ripulita

Cuba è aperta agli affari oltre che alla pacificazione regionale. Da tempo le aziende europee, soprattutto spagnole, e canadesi, investono nel turismo a Cuba. Con la fine dell’embargo è però cominciato un processo di totale trasformazione per l’Avana.

Per anni a Cuba sono arrivati turisti curiosi, avventurosi e solidali sul piano politico; fotografi affascinati dagli screpolati slum coloniali, dalle automobili d’epoca e dalla sensuale bellezza degli abitanti e del paese. Per molti però non farebbe differenza se fossero le Bahamas o la Costa Blanca spagnola, visto che in questo periodo la paura suscitata dalle attività terroristiche in Nordafrica incoraggia i vacanzieri a scegliere i mojito e i sigari cubani. Il centro dell’Avana oggi brulica di bermuda, T-shirt più o meno firmate e gente che scatta foto a ogni angolo.

La sua famosa architettura fatiscente sta lentamente ma inesorabilmente andando incontro a una bella ripulita; un vecchio mercato nei pressi del parque Central è chiuso e avvolto da impalcature per far posto a un altro albergo di lusso, una struttura ricettiva per un nuovo turismo di massa che è ancora in larga misura ospitato nelle casas particulares dotate di licenza, case private che hanno il permesso statale per accogliere ospiti.

“Ogni volta che torno, trovo un’altra cosa cambiata”, dice María Jimena Duzán, una scrittrice colombiana che conosce Cuba da decenni. “Gli americani sono qui, e questo cambia tutto. Uno dei miei posti preferiti, la bellissima e antica plaza Vieja, non è più la stessa, è stata totalmente modificata”. Starbucks e Subway sul parque Central? “Oh no, vi prego”, geme. “Ma in realtà a Cuba stiamo assistendo proprio a questo”.

La visita di Obama offusca a malapena la manna economica che attende le aziende statunitensi ansiose di investire nell’isola a soli 90 chilometri dalla Florida, in particolare quelle dei cubani fuggiti negli Stati Uniti e che non vedono l’ora di reclamare la loro fetta nella nuova economia dopo due generazioni di esilio.

“Cuba è un paese simbolico sul piano politico”, afferma John Paul Rathbone, responsabile dell’edizione latinoamericana del Financial Times:

Presto la generazione che ha fatto la rivoluzione sarà morta. Il cambiamento della politica statunitense sancisce proprio questo. E la visita di Obama all’Avana sarà un carnevale creato ad arte e probabilmente stimolerà il cambiamento e forse persino la fine dell’embargo e una più rapida transizione verso qualsiasi cosa ci sia in serbo nel futuro di Cuba. Un ciclo politico che dura da più di 50 anni e che ha influenzato almeno due generazioni in America Latina sta per concludersi. Lo si vede anche dai negoziati di pace colombiani. E tuttavia, qual è il significato economico di tutto questo? Un’inezia! Quando è stata l’ultima volta che il mondo ha mostrato tanto entusiasmo per un mercato non più grande della Repubblica Dominicana o di Puerto Rico?

Il cambiamento più sconcertante è rappresentato naturalmente dall’arrivo degli statunitensi, che sono la punta di diamante dell’agenda commerciale di Obama e trasformeranno Cuba in una versione del ventunesimo secolo del suo antico ruolo: il weekend malizioso a base di sole, musica e sconcezze, il parco giochi dello sfruttamento che aveva reso furibondi Fidel Castro, suo fratello e Che Guevara al punto da spingerli a sovvertirlo, ma che quello stesso fratello adesso alimenta con cura, prendendo a modello la Cina turbocapitalista.

L’impazienza dei narcotrafficanti

L’apertura del paese offre ad alcuni cubani opportunità attese da tempo. Jon Lee Anderson, biografo di Guevara, la figura più popolare di Cuba, ha descritto il paese come “il più istruito dell’America Latina, ma senza un’economia”.

Adesso quell’economia sta arrivando in massa, così i tassisti come Ernesto González potranno vendere le loro fidate Pontiac del 1951 a collezionisti americani, automobili ricercate dagli amanti del vintage rétro negli Stati Uniti e che sono state vitali per i cubani sotto embargo.

Quindi la domanda sorge spontanea: quanto del denaro che sta per riversarsi su Cuba arriverà alla popolazione? Quegli stessi turisti si recano da decenni in Giamaica e ad Haiti, eppure a Trenchtown e a Port-au-Prince arriva poco o nulla di ciò che esce dai loro portafogli.

E c’è dell’altro: l’Avana è di gran lunga la più sicura delle capitali latinoamericane; il consumo di droga è minimo e il crimine organizzato conosciuto da Città del Messico, Bogotá o San Salvador è inesistente. Ma nessuna multinazionale sarà impaziente di investire nel mercato cubano più dei narcotrafficanti messicani Los Zetas, che controllano i Caraibi.

I giornali descrivono il cambiamento economico del paese con un allegro ottimismo ammantato di terminologie socialiste

Il loro centro si trova a una distanza inferiore a quella percorsa dalla minuscola imbarcazione Granma che nel 1956 trasportò dal Messico attraverso il golfo l’avanguardia rivoluzionaria di Castro, e il suo prodotto può rifornire, nella sua forma più pura e costosa, i turisti che fanno festa a Cuba, e come bazuco (o crack) i poveri del posto. Nessuno vuole parlare di come tutto questo possa cambiare L’Avana.

I mezzi d’informazione cubani – che comprendono tre quotidiani, Granma, Juventud Rebelde e il più interessante Trabajadores – descrivono invece il cambiamento economico e il processo di “igienizzazione” del paese con un allegro ottimismo ammantato di terminologie socialiste.

L’Avana, Cuba, il 15 marzo 2016. (Ramon Espinosa, Ap/Ansa)

È inevitabile che l’imminente arrivo di Jagger, Richards, Watts e Wood provochi un brivido tra la gente. “Troppo bello per essere vero”, titolava a tutta pagina l’edizione di lunedì di Trabajadores. Il giornalista Yuris Nórido si concede un momento di esaltazione insolita per questi quotidiani e sotto una fotografia dei rocker sorridenti il cui primo singolo risale a soli quattro anni dopo la rivoluzione cubana scrive: “Il sogno sta per diventare realtà”.

Gente come la proprietaria di Casa Gaia, tuttavia, prova sentimenti contrastanti rispetto a tutto questo. Naturalmente Esther Cardosa non vede l’ora di assistere alla visita degli Stones e il direttore della sua pensione, Roberto, è entusiasta per questa possibilità (anche se avrebbe preferito i Beatles, che definisce “i più grandi maestri della mia vita”).

Cuba creativa e vitale

Cardosa è una delle principali figure creative di Cuba, un’attrice e direttrice di teatro la cui storia è stata fondamentale per la rinascita del surreale teatro cubano indipendente, innovativo e creativo negli anni ottanta e novanta. Gli spettacoli vengono messi in scena secondo i più alti standard di altri paesi, spesso destreggiandosi tra la libera espressione e l’approvazione ufficiale.

Alcune delle opere migliori di Cardosa con la prima compagnia teatrale non statale di Cuba, che lei stessa ha fondato, adattano le opere del drammaturgo spagnolo Federico García Lorca e di Shakespeare con riferimenti subliminali al regime cubano.

Mentre L’Avana si prepara per la costruzione e il rinnovamento su larga scala, il bel palcoscenico a tre sezioni nel suo teatro Casa Gaia – quello che a suo modo di vedere potrebbe diventare il “corridoio culturale” dell’Avana – con aree per gli spettacoli al chiuso e all’aperto, sta cadendo a pezzi, come molti degli edifici più belli dell’Avana.

Cardosa vola a Madrid e a Toronto in cerca di aiuto e denaro per quello che non è solo il suo sogno, ma qualcosa di Cuba che vorrebbe mostrare al mondo, oltre ai muri scrostati, alle Chevrolet d’epoca, alla carne a buon mercato e al superlativo jazz cubano adattato al mediocre palato turistico. “Una Cuba vera, creativa e vitale, che parla della nostra arte, della nostra passione, della nostra storia, del nostro talento e del nostro teatro”.

Ma gli “investitori” vogliono sapere solo se la sua proprietà potrebbe essere “trasformata in un albergo di lusso per la prostituzione. È questa oggi la scelta di Cuba”, dice. “Che tipo di paese vogliono gli investitori – e il nostro governo – adesso che sta arrivando Obama e che stiamo per aprirci agli affari? Di che genere di affari si tratta, e chi ne beneficerà?”.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.

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