13 marzo 2020 14:14

In aggiornamento.

“Fino all’inizio di marzo i danni economici provocati dall’emergenza coronavirus interessavano qualche centinaio di migliaio di lavoratori, soprattutto al nord, ma con il nuovo decreto entrato in vigore il 12 marzo i lavoratori interessati dalle conseguenze economiche dell’emergenza saranno milioni”, spiega Andrea Borghesi, segretario generale della Nidil-Cgil, che rappresenta e tutela i lavoratori atipici.

Le categorie di lavoratori che sono e saranno più coinvolte dalla situazione di chiusura di tutte le attività sono proprio quelle con tipologie contrattuali atipiche: i precari, le partite iva, in particolare nel settore dello spettacolo, del turismo e dello sport, centrali nell’economia italiana. Persone che da un giorno all’altro hanno perso ogni reddito, spesso senza che sia previsto nessun ammortizzatore. La crisi del nuovo coronavirus sta facendo emergere ancora di più le fragilità e le contraddizioni del mercato del lavoro in Italia.

“Parliamo di almeno 400mila lavoratori stagionali legati al turismo, migliaia di partite iva e centinaia di lavoratori dello spettacolo e dello sport”, continua Borghesi. A cui nelle ultime ore si aggiungono tutti i commercianti, le cui attività sono state chiuse per decreto. Per loro, il 16 marzo il governo ha messo in campo delle misure, che però non sembrano del tutto sufficienti per le categorie più fragili e svantaggiate. “Per quanto riguarda il mondo del lavoro autonomo, per collaboratori e professionisti con partita iva individuale, l’indennità una tantum di 600 euro netti è un primo segnale di attenzione, pur non risolutivo e sufficiente”, afferma in un comunicato la Nidil-Cgil.

“Di più si sarebbe potuto fare per i lavoratori con contratti di collaborazione coordinata e continuativa per i quali sarebbe stato possibile, come avevamo proposto, un intervento con una specifica cassa integrazione. Rimane aperto, poi, il tema della copertura dei professionisti con partita iva individuale iscritti agli ordini professionali, che sembrerebbero a oggi esclusi e per i quali vanno individuate soluzioni che tengano conto degli effettivi cali di attività”, continua il sindacato. “Manca nel decreto un intervento per i lavoratori con contratti di collaborazione occasionale, quasi del tutto sconosciuti all’Inps in quanto fino a cinquemila euro di reddito non è prevista contribuzione previdenziale. La gran parte dei rider è assunto, per esempio, con questa tipologia”.

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“È difficile anche fare delle stime di quanto si perderà in termini di reddito e di ricchezza nei prossimi mesi”, continua Borghesi. In ogni caso parliamo di miliardi di euro. “Ma se delle attività sono chiuse per decreto, è giusto che il governo pensi a degli strumenti per sostenere queste stesse attività”, spiega il sindacalista. Per i freelance e le partite iva gli effetti sono stati immediati: secondo un sondaggio condotto dall’associazione dei freelance Acta a fine febbraio, più della metà di loro ha registrato annullamenti di commesse e lavori, mentre i tre quarti dei freelance è sicuro che ci saranno molte altre cancellazioni nei prossimi mesi.

Ecco le storie di alcuni di questi lavoratori che aggiorniamo con contributi da tutta Italia.

Caterina Corti, consulente e webdesigner, Bergamo

Ho perso quattro commesse in poche settimane, per un totale di duemila euro, da quando è cominciata la crisi legata alla pandemia di Covid-19, che qui a Bergamo, la mia città, è stata particolarmente dolorosa. Avevo fatto una spesa importante per l’attrezzatura necessaria al mio lavoro, avevo da poco comprato un computer nuovo, e ora non so se riuscirò a rientrare di quei soldi. Sono molto preoccupata, perché ho sempre avuto un reddito basso, ma finora ero riuscita a pagarmi l’affitto e le bollette. Ma temo che nelle prossime settimane non riuscirò a sostenere le spese più basilari.

Il mio lavoro è molto legato alle attività lavorative degli altri, per esempio avrei dovuto lavorare per uno studio di fisioterapia, per un negozio, per un fioraio, attività che al momento sono chiuse e che quindi non possono assicurarmi la consulenza che avevamo preventivato. Sono molto arrabbiata con il governo per il decreto Cura Italia, io per esempio rientro nella categoria dei liberi professionisti che potranno beneficiare dei seicento euro una tantum previsti per le partite iva, tuttavia con questi soldi non farò altro che pagare il commercialista, che comunque avrei dovuto pagare come tutte le partite iva.

Questa misura una tantum non serve a molto, il governo avrebbe dovuto pensare a una misura di lungo periodo, come una cassa integrazione universale o un reddito integrativo per chi ha un reddito particolarmente basso, per aiutarci a far fronte a questa enorme incertezza sul futuro. La cosa più pesante per tutti noi in questa condizione è quella di non avere alcuna sicurezza e sentire ogni momento di doverci rimettere in discussione, senza avere strumenti.

Per i precari e i liberi professionisti era già così nella normalità, ma ora la situazione è insostenibile. Sto cercando di informarmi e di capire se per esempio sarà sospeso il pagamento di alcune bollette, ma non ho ancora compreso bene che fare. A Bergamo, inoltre, cercare di pensare al proprio lavoro in questo momento è impossibile, la situazione in città è desolante per l’aspetto sociosanitario e quindi non c’è molto spazio per altri tipi di preoccupazioni, questo rende tutto ancora più difficile.

(Storia raccolta da Annalisa Camilli)

Simone Scalas, tour operator, Cagliari

A metà marzo, proprio in questi giorni, sarei dovuto andare in alcune isole della Croazia per testare il percorso in bici, i ristoranti, i bar, le navette e l’assistenza, inclusa quella sanitaria, in vista di un tour con 70 partecipanti. E invece sono qui a casa, a Cagliari, in telelavoro, insieme a mia moglie, una bimba di un anno e mezzo e un altro in arrivo.

Ogni mattina da fine febbraio accendo il computer non più per organizzare viaggi su misura in Sardegna, in Sicilia, in Corsica e in giro per il Mediterraneo per clienti internazionali – americani, indiani, brasiliani, pochissimi italiani – ma per mediare, trattare su caparre a volte già anticipate da noi o da loro. Per esempio, ora sto provando a rinviare a fine aprile un versamento di 15mila euro per prenotare un albergo che avrei dovuto fare in questi giorni. Ma dipende dai regolamenti, non sempre si può, c’è il rischio di perdere tutto.

Mediterras, l’agenzia che gestisco insieme a due soci, ha un fatturato di 500mila euro all’anno. Da gennaio sembrava pure in crescita, tant’è che avevamo fatto nuovi investimenti: un nuovo ufficio vicino alla spiaggia del Poetto, con un piazzale davanti dove avevamo previsto di mettere delle bici da noleggiare. Un progetto da decine di migliaia di euro, con un fido bancario già concesso. Per fortuna siamo riusciti a bloccarlo in tempo.

In queste settimane non sappiamo cosa ci aspetta. Torneremo presto a spostarci, l’uomo ha sempre viaggiato. Però per ora la nostra agenda è divisa a metà: il 20 per cento delle cose da fare riguarda le disdette, l’80 per cento i rinvii al prossimo autunno. Gli statunitensi sono ottimisti, noi siamo cauti: rassicuriamo e tentiamo appunto di non rimetterci.

(Storia raccolta da Monia Melis)

Fabio Pace, rider, Palermo

Fabio Pace a Palermo, il 14 marzo 2020. (Giuseppe Iannello per Internazionale)

La serrata generale non era ancora scattata, ma dal 6 marzo con altri colleghi ho cominciato a chiedere più sicurezza. Faccio il rider per un’azienda siciliana di delivery e questo lavoro impone di incontrare ogni giorno tante persone. Gli ordini nei turni serali a Palermo sono rimasti più o meno gli stessi di prima, si continua a fare sei-sette consegne, ma ora il rischio di contagio ci costringe a essere più prudenti.

Così abbiamo chiesto di bloccare le consegne all’interno delle strutture sanitarie, imponendo che sia il cliente a uscire. Il 9 marzo l’azienda ci ha fatto avere i guanti, ci ha invitato a mantenere la distanza di sicurezza e a lavarci spesso le mani. Al momento, però, non abbiamo ancora ricevuto mascherine o gel igienizzante, ma soprattutto stiamo cercando di ottenere lo stop ai pagamenti in contanti: non tutti i miei colleghi, però, sono d’accordo, visto che una stretta del genere potrebbe far diminuire gli ordini.

In un turno, del resto, si guadagna già poco. Se va bene circa 20 o 25 euro. Per ogni consegna ci viene riconosciuto un compenso di 3,60 euro, anche se sono previste maggiorazioni di 30 centesimi per il sabato, di 50 centesimi in caso di temporale e di 20 per le lunghe distanze. Io, al momento, lo faccio in attesa di completare gli studi, visto che ormai da qualche anno ho deciso di vivere per conto mio: ho una laurea triennale in filosofia e sto per conseguire quella magistrale, e nonostante diverse esperienze da cuoco non sono riuscito a trovare un altro lavoro, così da due anni e mezzo faccio il rider.

Non a tutti i costi, però. Finché l’azienda non prende una decisione sul contante io seguo una mia procedura: che ci sia il sole o la pioggia indosso una giacca a vento e metto nella tasca esterna una busta per i soldi che mi consegneranno. Quando do il cibo a un cliente gliela passo e lo invito a metterci il denaro. Ovviamente non usano guanti, mentre io sì. Secondo me i contanti sono un veicolo di trasmissione, è per questo che quando arrivo davanti alle porte di casa delle persone, in questa Palermo semideserta e spettrale, dico a tutti di evitare di usarli. Bisogna ricorrere ai pagamenti elettronici. È la mia battaglia personale: con una pandemia in corso non possiamo rischiare la salute per qualche spicciolo.

(Storia raccolta da Claudio Reale)

Sara Cervelli, fotografa freelance, Roma

Sara Cervelli, Roma, 12 marzo 2020. (Giuseppe Nucci per Internazionale)

Nelle ultime tre settimane ho perso quattro assegnati commerciali per fare delle foto per un totale di 1.500 euro, inoltre ho dovuto interrompere le lezioni di fotografia per bambini che tenevo ogni settimana in una ludoteca, fino a data da destinarsi. Mi preoccupano non solo i lavori che ho perso, ma anche la prospettiva di altri che ne perderò nelle prossime settimane: dagli eventi culturali, ai matrimoni, fino ai book fotografici. Inoltre anche ricevere commissionati più strettamente legati alla cronaca o al fotogiornalismo è complicato in questo momento, perché i giornali sono monotematici e si occupano solo dell’emergenza coronavirus.

Faccio questo mestiere da molti anni e finora non ho mai avuto problemi, tanto che l’anno scorso ho deciso di comprarmi una piccola casa a Roma, prendendo un mutuo che ha una rata mensile di 600 euro, anche se sono monoreddito, ma ora temo di non riuscire a pagare la rata, anche se cerco sempre di non essere negativa. Un’altra cosa che mi sto chiedendo è come pagherò i contributi della cassa previdenziale a cui sono iscritta (sono un’autonoma iscritta all’Inpgi, la cassa previdenziale dei giornalisti). Si prevederanno delle misure speciali per i freelance? Quando dovrà versare i contributi si terrà conto di questa situazione? Me lo chiedo di continuo, in queste ore che trascorro chiusa in casa.

(Storia raccolta da Annalisa Camilli)

Viola Lo Moro, libreria Tuba, Roma

Viola Lo Moro nella sua casa a Roma, 12 marzo 2020. (Giuseppe Nucci per Internazionale)

Abbiamo abbassato la saracinesca il 12 marzo, come previsto dal nuovo decreto. Ma già dalla fine di febbraio avevamo annullato tutte le presentazioni dei libri, che insieme al bar sono la nostra principale fonte di introiti. Fino all’11 marzo abbiamo garantito il servizio della libreria e del bar, prendendo tutte le precauzioni possibili, come costringere i clienti a entrare, uno alla volta. La libreria Tuba è uno spazio importante di aggregazione, nato nel 2008 da un gruppo di donne e di femministe che volevano aprire uno spazio culturale e di aggregazione pensato soprattutto per le donne, in una città come Roma in cui mancano spazi di questo tipo.

La libreria organizza nel corso dell’anno numerose presentazioni di libri e due festival, uno destinato ai fumetti scritti da donne “Bande de Femmes” e uno destinato alle scrittrici donne, “Inquiete”. Ora con la chiusura definitiva fino a data da destinarsi siamo preoccupate, perché le spese rimangono invariate e invece non ci saranno più introiti, sull’organizzazione dei festival stiamo continuando a lavorare, ma con qualche timore. Abbiamo cinque dipendenti e sei socie di cui due dipendenti, che vogliamo in tutti i modi tutelare. Anche se la libreria è chiusa dobbiamo pagare le spese che rimangono in ogni modo invariate e che ammontano a 12mila/14mila euro al mese tra stipendi, tasse, affitto, utenze e consulenze. Inoltre c’è da considerare che le librerie come la nostra lavorano di più con la bella stagione e arrivano già alla fine dell’inverno allo stremo.

Abbiamo calcolato che le perdite di un mese come marzo potrebbero arrivare a trentamila euro. Ci vorrebbe un sostegno in termini di politiche fiscali, non solo sulle tasse sul lavoro, ma anche a compensazione dei mancati incassi, mutui a tasso zero per garantire liquidità e ripartire. Essendo un’impresa di donne, il mio pensiero in questo momento va a tutte le lavoratrici che saranno di sicuro tra le più colpite da questa emergenza. Ci vorrebbe una cassa integrazione estesa alle piccole realtà.

(Storia raccolta da Annalisa Camilli)

Angelo Bonanni, tecnico del suono, Roma

Angelo Bonanni, Roma, 12 marzo 2020. (Giuseppe Nucci per Internazionale)

Nelle ultime tre settimane ho perso una grossa commessa, per un mancato introito complessivo di 15mila euro. Tutte le produzioni cinematografiche al momento sono sospese, questo significa che le manovalanze del cinema sono a casa, senza che sia prevedibile quando si ricomincerà a lavorare. Chi fa un lavoro come il mio è abituato a stare a casa per dei periodi, ma il problema in questo momento è che siamo di fronte a una grande incertezza sui prossimi mesi. Io ho stimato di poter sopravvivere senza lavorare per i prossimi sei mesi. Dopodiché non so cosa farò. I lavori come i nostri non possono essere fatti da casa o in smart working e si deve considerare che anche quando sarà finita l’emergenza, ci vorranno dei mesi per rimettere in piedi le produzioni cinematografiche, perché c’è bisogno di tempo per prenotare gli spazi, chiedere i permessi per l’occupazione di suolo pubblico e così via. Poi i film devono essere girati in una determinata stagione, se si salta, si va all’anno successivo. E inoltre molte produzioni sono internazionali quindi ci sono problemi se l’emergenza è anche in altri paesi oltre che in Italia.

Dal governo la nostra categoria di lavoratori dello spettacolo non ha avuto nessuna comunicazione ufficiale, non c’è nessuna particolare indicazione sul decreto, ma in ogni caso non possiamo lavorare. Abbiamo chiesto alla protezione civile come comportarci sui set che devono continuare ad andare avanti, quali protocolli di sicurezza adottare. E poi abbiamo chiesto un fondo di aiuti per i lavoratori del cinema e dello spettacolo per far fronte a questo momento delicato.

(Storia raccolta da Annalisa Camilli)

Andrea Rozzio, insegnante di yoga, Castiglione d’Adda

Andrea Rozzio, fuori da una palestra comunale a Castiglione d’Adda, 14 marzo 2020. (Davide Torbidi per Internazionale)

Ho cominciato a praticare yoga quando avevo 27 anni e me ne sono innamorato subito. Ci ho messo poco a capire che la mia vita professionale sarebbe stata in questo campo. Nel 2016 ho cominciato a tenere i miei corsi tra Castiglione d’Adda, Codogno e Casalpusterlengo. Facevo lezioni dal lunedì al venerdì, anche più volte al giorno, mentre nel weekend partecipavo a workshop e laboratori. Ho un centinaio di allievi, in genere a ogni corso si presentavano tra le 15 e le 30 persone. Ce l’ho sempre fatta a mantenermi economicamente, senza fare altri lavori.

Poi tutto è cambiato. Non dimenticherò mai il 21 febbraio scorso. Quel pomeriggio avevo una lezione, l’ho annullata appena hanno annunciato la messa in quarantena dei nostri paesi. Con gli allievi abbiamo detto che ci saremmo risentiti per la lezione del lunedì successivo. Oggi, passato ormai quasi un mese, non ci siamo ancora rivisti. Nelle settimane di quarantena sono rimasto chiuso in casa, anche perché volevo tutelare mia madre e mia nonna che hanno una certa età. Castiglione D’Adda è stata martoriata dall’epidemia. Io ho perso una ventina di conoscenti, alcuni anche amici stretti di famiglia.

Il mio lavoro si svolgeva proprio nel triangolo dei paesi della prima zona rossa. In queste settimane ho mantenuto i contatti con i miei allievi e mi sono ingegnato per non lasciarli soli. Continuo a inviare le lezioni tramite video e audio, il corso continua telematicamente. Questo mi aiuta anche a passare il tempo, ho un diploma in cinematografia e smanettare con la realizzazione dei video è una buona distrazione. Si può dire che sto facendo smart working, ma ovviamente a titolo a gratuito. Da quando il corso è sospeso io non ho più guadagnato nulla. Ho dovuto fare i conti con un limite doppio: quello di lavorare nel primo focolaio dell’epidemia, e quindi di essere stato tra i primi a doversi fermare; e quello di svolgere un’attività di tipo sportivo. Ci vorrà molto tempo perché si possa tornare a farla. In ogni caso temo che le ripercussioni sulla mia attività dureranno a lungo.

Per fortuna avevo cominciato a mettere un po’ di soldi da parte. Al momento riesco ancora a non avere troppe preoccupazioni, ma vale per qualche mese, una situazione simile non sarà sostenibile a lungo. Spero che verranno previsti degli aiuti anche per i lavoratori autonom come me. Fin da quando ho cominciato a insegnare yoga sono sempre stato consapevole che non avrei avuto tutele e garanzie. Sapevo il che potevano esserci alti e bassi. Forse è anche per questo che sono sempre stato attento a risparmiare, così da affrontare eventuali momenti di difficoltà come questo.

Comunque, non mi scoraggio: continuerò a fare l’insegnante di yoga, più convinto di prima. È il mio lavoro dei sogni, mi porta benessere. In queste settimane mi manca lo stipendio, così come la vita sociale. Ma soprattutto, mi manca la pratica, insegnarla ai miei allievi.

(Storia raccolta da Luigi Mastrodonato)

Roberto Mantovani, autista di taxi, Bologna

Roberto Mantovani nella sua casa a Bologna, il 15 marzo 2020. (Michele Lapini per Internazionale)

Ho fatto per vent’anni l’autista di carroattrezzi, poi nel 2016 ho comprato la licenza per guidare il taxi. È stato un investimento grosso, a Bologna la licenza costa più di duecentomila euro. Per fortuna avevo qualche soldo da parte. Ho anche fatto un prestito, ma grazie al cielo ho già finito di pagarlo. Mi sono subito innamorato di questo lavoro: posso scegliere autonomamente i miei orari e incontrare tante persone diverse. Di solito privilegio il turno di notte, dove la gente è più rilassata, più allegra, non ha fretta di arrivare e chiacchiera più volentieri.

Tutto è cambiato domenica 23 febbraio: per Bologna è stata quella la notte della fuga, quando moltissimi studenti sono partiti dopo la chiusura di scuole e università. Ricordo di essere passato dalla stazione dei bus. Era pienissima di ragazzi che tornavano a casa dalla famiglia.

Da quel momento in poi la città si è svuotata e il lavoro è diminuito tantissimo: dopo che sono stati cancellati i voli aerei i turisti sono praticamente spariti, molti treni sono stati sospesi e quasi nessuno si muove più. Le persone vogliono risparmiare e, anche quando si spostano, preferiscono andare a piedi invece che in taxi. Le poche corse che ci capitano sono per accompagnare badanti che vanno ad accudire un anziano, figli che vanno a trovare genitori o nonni, persone ancora obbligate a spostarsi per lavoro o che devono fare una visita medica.

L’ultimo giorno che ho lavorato è stato il 10 marzo. C’erano in giro trecento taxi: in dieci ore ho preso solo cinque chiamate, guadagnando in media tre-quattro euro all’ora. Con i soldi incassati non ho coperto neanche i costi. Il comune ha chiesto ai taxisti di prendersi due giorni di riposo per far diminuire il numero di vetture in circolazione, ma non è bastato. I posteggi sono sempre pieni: nell’attesa c’è chi legge un libro, chi sta sui social network, chi fa una telefonata. Tutti sono obbligati a indossare guanti in lattice e mascherina: i primi giorni ne mettevo una maschera da muratore, perché le mascherine sanitarie non si trovavano da nessuna parte.

Io ho deciso di non andare più a lavoro perché così almeno lascio i pochi clienti ai colleghi che hanno comprato da poco la licenza e che hanno ancora il mutuo sulle spalle: loro sì che si trovano in grande difficoltà. Io ho un affitto da pagare con la mia compagna, ma per questo mese ce la facciamo. Il problema arriverà dopo: tutte le fiere di aprile e maggio sono già state annullate, e anche in estate sicuramente non ci saranno turisti.

Per tornare a lavorare a pieni ritmi bisognerà aspettare almeno fino a settembre, forse anche più in là, ma sono sicuro che ci risolleveremo. Nel frattempo ho messo a disposizione gratuitamente il mio taxi per chi ha bisogno di fare uno spostamento, per dare un po’ di positività e fiducia, agli altri e anche a me stesso.

(Storia raccolta da Alice Facchini)

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