03 febbraio 2021 14:32

Tra le 8.30 del 21 gennaio e le 22 del 22 gennaio, la Ocean Viking ha effettuato tre operazioni di soccorso. Di quattro barche in pericolo. Di giorno. Fino al sorgere del sole. E al tramonto. Fino a notte fonda. Accogliendo 374 sopravvissuti. Uomini. E donne. E bambini. Neonati. E due donne incinte. Follia.

Impressioni.

Non so più quando tutto è iniziato. Che giorno. Quanti giorni fa. Quante notti. Notti che si trasformano in giorni. Pasti, che di solito segnano il tempo a bordo della nave, che sono stati saltati. Quante persone. Quante donne. Quanti bambini. Neonati.

Non lo ricordo. I ricordi traboccano. Come le emozioni. La gioia. La tristezza. L’angoscia. Le Storie. Le immagini. Centinaia. Migliaia di immagini. Momenti. Secondi. Essenziale. Storici per tutti. Questi passaggi dall’inferno alla speranza. Centinaia di loro. Da una imbarcazione all’altra. Occhi che mi fissano. Che mi fissano. Contenti. Vuoti. Braccia che chiamano. Mani protese. Corpi sospesi. Che non possono più aspettare. Si gettano in mare, verso di noi. Crollano sul gommone di salvataggio. Sul ponte della Ocean Viking. Davanti a me. Aggrappati al mio braccio. Cadono contro di me. Corpi fradici. Ossa. Muscoli. Odore di benzina. Di sudore. Di spavento. Di gioia. Svestiti. Montagne di vestiti. Ovunque. Montagne di giubbotti di salvataggio arancioni. Salvi. Bambini che urlano. Che corrono. Che giocano. Non ricordo più. Ciascuno di questi momenti è impresso. Ognuno di questi momenti è unico. Storico. Ognuna di queste vite è stata capovolta. Senza annegare. Tre soccorsi in quarantotto ore. Quattro barche. 374 persone, si annuncia.

I numeri non dicono nulla. Una singola storia è una vittoria. Questa è una mareggiata. Quali vite? Quali storie? Quali viaggi? Continuano a tornare in mente le parole senza sosta. Libia. Libia. Libia. La Libia è finita. La tortura. La prigione. Gli strupri. L’inferno. L’inferno. L’inferno. Grazie. Grazie. Abbiamo pregato molto. I nostri amici sono morti. Sono scomparsi. Non lo sappiamo. Vari tentativi. Una volta. Due volte. Tre volte. Pagare ancora. Torture. Famiglia. Mesi. Anni di speranza.

Le mie dita hanno cercato di trattenere tutto questo. Hanno cercato di tenere la matita per scrivere. Per premere l’otturatore della mia Leica. Per disegnare quell’istante. Per fermare la storia in corso davanti a me. Catturare la libertà. Per fermare l’emozione.

Le mie mani stavano afferrando. Sostenendo. Confortando. Le mie mani hanno aiutato.

Tutti nel loro insieme. Il resto non aveva più senso.

Un’operazione di soccorso della Ocean Viking nel Mediterraneo, 22 gennaio 2021. (Hippolyte, Sos Méditerranée)

Otto del mattino. Ieri. Una barca in pericolo all’alba. Molti bambini. Un bambino è sollevato. Una bambina di un mese. Tesa verso il cielo da un uomo. Verso di noi. Portata sopra l’acqua. Tra due imbarcazioni. Tra due mondi. Verso Tanguy e Mimì. Verso Hassan che la tiene in una sola mano. Verso il cielo. Verso di me. Sono solo in fondo al gommone con Rocco, il pilota. Le sue mani sono tutte occupate dalla manovra. Per mantenere saldo questo ponte tra due sponde. A una buona distanza. Le mie mani saranno la sua carrozzina. Le mie braccia la sua culla. Questo corpicino. Questa faccia circondata da un giubbotto di salvataggio troppo grande per lei. Che le disegna un’aureola arancione intorno. Altri bambini attraversano il ponte sospeso. Uno dopo l’altro. Ho solo una mano per tenere la bambina. L’altra per afferrare i nuovi sopravvissuti. Per posizionarli. Farli sedere. I miei occhi e la mia voce per rassicurarli. Per cercare di calmare le loro grida. Le loro lacrime. La loro angoscia. La loro paura. Il flusso dei bambini sembra non fermarsi più. Bisogna trovare un posto per loro. Al centro della barca. Seduti. Lontani dai bordi. Ordinare ai bambini più grandi di tenere in braccio i più piccoli. Non riesco più a contarli. I numeri non hanno alcun senso. Vorrei tenerli tutti tra le mie braccia. Ma non è qui che sta l’emergenza.

Guardo la bambina rannicchiata su di me. È l’unica calma sulla barca. Mi riconforta. Le lacrime salgono dentro di me. Il flusso attraversa i miei occhi. Devo tenere. Trattenerlo. La mia tristezza non è nulla. La loro angoscia è infinita.

Senza filtro
Per una volta non posso nascondermi dietro a una macchina fotografica o a una matita. Non ci sono più filtri. La luce mi abbaglia e mi brucia gli occhi. È come se ogni secondo fosse un’ora. Una volta che tutti i bambini sono a bordo, bisogna distribuire i giubbotti di salvataggio agli adulti ancora a bordo della barca in pericolo. Una tragedia può accadere in qualsiasi momento. Occorre mettere tutti al sicuro. Gli uomini. Le donne. Le Madri. Rimaste dall’altra parte. Il nostro gommone si allontana un po’ per calmare i sopravvissuti a bordo della barca in distress. Non potranno salire tutti contemporaneamente. Abbiamo solo venti “posti” a bordo. E sono dozzine di persone. Lo sbarco avverrà man mano. Bisognerà essere pazienti. Il bambino piange con la distanza che si crea. Reclama la sua mamma. Un altro sta vomitando in mare, accanto a me. La mia mano lo sta trattenendo dal finire in mare insieme alle sue budella. Il dolore viene fuori come meglio può. La bambina urla più forte. La barca si sta muovendo. La mia mano, il mio braccio la tengono più forte. Fame. Gli altri bambini si aggrappano alle mie dita. Conforto. La punta del mio dito asciuga le lacrime della bambina. Le accarezza il viso. Trova la sua bocca aperta dalla fame. Riflesso di papà. Succhia il mio dito. Calma. Occhi che si aprono. Lacrime che scorrono. Ci si rassicura a vicenda. Le mie mani non sono mai state così utili. Un pezzo di pelle. Al contatto. Alla estremità di un corpo. Una storia. Due storie. Un ponte. Un legame. Profondamente umano.

A bordo, i corpi si accalcano sotto le coperte. Innumerevoli. Li disegno. Uno a uno. Immaginando ogni storia da loro vissuta. Individuiamo un puntino all’orizzonte. C’è una barca in pericolo davanti a noi. Sul punto di affondare. Saranno tutti sani e salvi quattro ore dopo. Sono sul gommone di salvataggio. Con Tanguy, Mimi, Hassan e Rocco. Immersi nella notte oscura.

La Ocean Viking illumina ancora il mare svuotato di naufraghi, ora in sicurezza a bordo.

Non avevamo ancora incrociato un uccello fino ad allora.

All’improvviso, centinaia di gabbiani volano e girano intorno alla nave. Bagliori bianchi nella penombra. In un balletto di rara bellezza. Le mie dita non riescono a contarli. Non ho mai visto niente di così bello.

Hippolyte è un autore di fumetti francese. Si trova a bordo dell’Ocean Viking, la nave dell’organizzazione umanitaria per il soccorso ai migranti Sos Méditerranée.

Internazionale ha una newsletter settimanale che racconta le ultime notizie sulle migrazioni. Ci si iscrive qui.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it