Disinformazione, sicuramente, ma anche paura. Paura di incontrare i vicini lungo la strada per l’ospedale, paura di dover dire ai parenti di essere positivi alla tubercolosi, paura di rimanere soli, messi da parte, isolati dalla famiglia e dalla comunità. Perché in Sudafrica, nel 2015, lo stigma nei confronti dei malati di tubercolosi è ancora forte.
“Quando due anni fa ho scoperto di essere positivo alla tubercolosi, e poco tempo dopo anche all’hiv, la mia famiglia è scomparsa”, racconta Moses Michize, 42 anni, Mdr-tb positivo, di fronte alla sua casa di legno nella township di Clare Estates, poco fuori Durban. “Un giorno dovevo andare a una cerimonia con i miei parenti, avevo appena ricevuto la notizia di essere malato di tubercolosi, ero stanco, triste, l’ho detto a mia madre: non li ho mai più sentiti, non una telefonata, non una visita durante tutto il mio periodo di cure. Per loro non esisto più”.
E allora per evitare di essere isolati dalle comunità meglio nascondere la malattia: ed è così che la tubercolosi, proprio come l’hiv, continua a diffondersi, soprattutto nelle aree più povere, nei quartieri più degradati. Lo stigma uccide, proprio come le malattie.
“Terrible twins”, così da queste parti medici e addetti ai lavori chiamano tubercolosi e hiv. Perché spesso sono legate l’una all’altra.
Il 60 per cento dei malati di tubercolosi è anche positivo all’hiv, una quota enorme. Quasi due persone su tre sono coinfette e l’epicentro di queste epidemie, per quanto riguarda il Sudafrica, sembra essere la provincia del Kwazulu Natal, dove il 39 per cento delle donne incinte è sieropositivo, quando la media nazionale si attesta sul 29 per cento. Non è un caso che all’ospedale KingDinuZulu di Durban sia stato creato uno dei pochi reparti pediatrici del Sudafrica interamente riservato ai bambini malati di tubercolosi, nel quale otto su dieci sono anche positivi all’hiv. Lo dirige il dottor Baboo Sunkarie, che ha potuto vedere con i suoi occhi nel corso degli anni l’evolversi della tubercolosi e delle sue forme più resistenti: “Nel 2006 su 32 posti letto solo quattro erano occupati da bambini affetti da tubercolosi resistente ai farmaci, sia Mdr che Xdr. Ora non c’è più un solo bambino che non abbia contratto almeno una di queste forme di tubercolosi. Stiamo notando sempre di più come tubercolosi e hiv vadano a braccetto e si sviluppino in parallelo”.
Questo, secondo il dottor Sunkarie, dipende soprattutto dall’ambiente nel quale i bambini sono costretti a crescere e dalle loro condizioni di vita. “La maggior parte dei bambini nel reparto arriva da contesti difficili, da quartieri poveri, dove le persone dormono in sei o sette per camera, non sono usate le precauzioni durante i rapporti sessuali, l’igiene è scarsa. È così che il batterio si diffonde, ed è così che i bambini presenti in questo reparto, il 90 per cento dei quali è nato da madre hiv positiva, anche se curati con successo contro la tbc, una volta tornati a casa si infettano di nuovo”.