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Le disuguaglianze nella salute tra lockdown e recessione

Roma, 10 maggio 2020. (Stefano Montesi, Corbis/Getty Images)

La scelta di adottare misure di confinamento e di bloccare gran parte delle attività, il cosiddetto lockdown, è stata dettata dalla necessità di agire rapidamente contro la diffusione di un virus in gran parte sconosciuto, per tutelare la salute della popolazione e impedire il collasso della rete ospedaliera. In termini di riduzione dei contagi, dei ricoveri e dei decessi il lockdown funziona, ma non è privo di effetti collaterali gravi che pesano in modo sproporzionato sulle fasce della popolazione già socioeconomicamente svantaggiate, scrive sul British Medical Journal (Bmj) Margaret Douglas, condirettrice del master di salute pubblica dell’università di Edimburgo, insieme ai colleghi dell’università di Glasgow e della London school of hygiene and tropical medicine.

Perdita di reddito e istruzione, debiti e disoccupazione, precarietà e violenza domestica sono solo alcune delle conseguenze della chiusura delle attività economiche non essenziali e delle scuole fino alla fine dell’emergenza. Problemi psicologici, stigma e sintomi del disturbo da stress post-traumatico si associano alla condizione di isolamento sociale. Considerando che appiattire la curva dei contagi significa prolungare la pandemia e le restrizioni per mitigarla, la politica dovrebbe bilanciarne i pro e i contro, prestando attenzione anche alle conseguenze delle misure prese nel medio e lungo periodo sulla salute e sulle disuguaglianze nella salute, e a quali azioni intraprendere per contenerle.

Chi è più a rischio?
Sul Bmj i ricercatori britannici di salute pubblica illustrano in un diagramma i molteplici effetti delle misure restrittive adottate in risposta al covid-19 nella vita quotidiana, che a loro volta si ripercuotono sulla salute e sul benessere delle persone, e identificano le fasce di popolazione più vulnerabili e penalizzate.

Gli effetti delle misure di distanziamento sociale sulla salute.

Gli anziani sono quelli più colpiti perché spesso vivono da soli e non hanno gli strumenti tecnologici per mantenere, almeno online, i contatti sociali. Lo sono anche i giovani, perché privati della scuola, che ha un’importante funzione sociale oltre che formativa. Il lockdown può significare la perdita delle entrate economiche per i lavoratori precari e per quelli autonomi. Le donne, senza il supporto della scuola, possono essere costrette a lasciare il lavoro per occuparsi dei figli e rischiano più spesso di subire violenze e abusi tra le mura domestiche. Poi ci sono le persone con problemi di salute mentale oppure con disabilità che si trovano private dei servizi sociali e sociosanitari di supporto, e come loro anche i migranti non regolari e i senza dimora.

Il lockdown amplifica le differenze sociali ed economiche, continua il Bmj. Per chi ha già un reddito basso, non avere più lo stipendio significa non poter pagare l’affitto, non poter comprare alimenti sani per la famiglia e non potersi curare. Senza un computer e un accesso a internet, i ragazzi non possono seguire le lezioni a distanza. Ancora: in contesti di povertà e scarsa istruzione le donne sono maggiormente esposte a ricatti e soprusi, e hanno meno accesso ai servizi antiviolenza. Come dice l’epidemiologo sociale sir Michael Marmot nella revisione dei determinanti sociali e delle disuguaglianze di salute, commissionatagli dal governo britannico dieci anni fa, la salute della popolazione segue il gradiente sociale: le persone che hanno un reddito basso sono più vulnerabili agli effetti avversi e non sono nelle condizioni per condurre un’esistenza salutare.

“Per non aggravare le disuguaglianze nella salute il distanziamento sociale deve quindi essere accompagnato da azioni finalizzate a salvare i redditi delle fasce più povere della popolazione”, sottolineano sul Bmj i ricercatori britannici.

Senza lavoro si muore di più
Secondo le previsioni del Fondo monetario internazionale l’economia mondiale entrerà in recessione. Il fallimento delle imprese aumenterà la disoccupazione che ha effetti pesanti sulla salute fisica e mentale della popolazione: una meta-analisi del 2011 ha calcolato un aumento del 76 per cento della mortalità per tutte le cause nei dieci anni successivi alla perdita del lavoro. “Gli effetti dannosi della recessione”, scrivono gli autori dello studio, “possono essere prevenuti con politiche sociali progressiste; è la risposta politica alla recessione, piuttosto che la recessione stessa, che decide la salute della popolazione a lungo termine”.

Ora più che mai il delicato nesso tra economia e salute appare evidente nella necessità di trovare un compromesso tra le misure di contenimento del contagio e i bisogni delle persone. I determinanti sociali e le disuguaglianze di salute dovrebbero rientrare tra i princìpi che guidano i processi decisionali: “Le decisioni politiche prese ora modelleranno l’economia futura, secondo modalità che potrebbero migliorare o danneggiare la sostenibilità, la salute e le disuguaglianze”, avverte il Bmj.

Queste decisioni sono quelle che stanno impegnando tutti i governi dei paesi colpiti dalla pandemia, che devono scegliere a quali settori dare la priorità di un sostegno, se indirizzare gli aiuti alle imprese o ai lavoratori e come finanziare i costi. “Per proteggere la salute della popolazione sarà essenziale evitare un ulteriore periodo di austerità e le relative riduzioni della spesa previdenziale e dei servizi pubblici. Dobbiamo costruire un’economia più inclusiva e sostenibile”, conclude il Bmj. Ma il grande pericolo oggi sembra proprio quello di una frammentazione delle politiche. E in assenza di coesione, l’inclusività e la sostenibilità rischiano di diventare solo un miraggio.

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