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Usiamo il giorno della memoria per riflettere sulla violenza che ancora ci circonda

Un sopravvissuto all’olocausto visita il memoriale nel campo di concentramento di Auschwitz, a Oświęcim, in Polonia, il 27 gennaio 2016. (Kacper Pempel, Reuters/Contrasto)

La giornata della memoria anche quest’anno mi ha colta alla sprovvista, quasi impreparata. Forse perché la memoria non può essere condensata in un giorno, esattamente come la shoah è presente sempre e ovunque, anche dove non dovrebbe, per esempio nelle barzellette, e soprattutto nella retorica politica.

La ricorrenza celebrata ogni anno dalle istituzioni è una shoah parallela a quella intima, che si ricorda per 365 giorni all’anno e non solo in uno. Una shoah personale, privata, che qualcuno ha già chiamato “la nostra shoah”.

Espressione di un concetto e allo stesso tempo titolo di un meraviglioso libro di Amir Gutfreund. La shoah è presente in ciascuno di noi. In chi ha subìto, in chi ha permesso che gli altri subissero, in chi ha taciuto, in chi continua a farlo.

Una shoah diversa, lontana della istituzioni, lontana anche dalle quindicimila kippah che saranno distribuite oggi dal quotidiano il Foglio. Cosa ne faranno quei quindicimila fortunati di una kippah in più e di un euro di meno in tasca, è ancora da capire.

E anche quest’anno insieme alle trasmissioni, la retorica e le sempre più rare testimonianze, si parla del passato e non del presente, senza osare di porsi alcune domande cruciali.

Anche oggi continuiamo a chiudere gli occhi di fronte alla banalità del male

Da piccoli, quando domandavamo sempre come sia stato possibile che il mondo sapesse tutto e non avesse fatto nulla per fermare lo sterminio, gli adulti dicevano che erano altri tempi, senza la radio e la televisione.

Ma la verità è un’altra, perché anche oggi continuiamo a chiudere gli occhi di fronte alla banalità del male. Anche per questo, soprattutto oggi, nel giorno della memoria, piuttosto di essere tutti ebrei, con una kippah da un euro, sarebbe forse meglio essere semplicemente noi stessi. Con tutto l’impegno e la responsabilità che ciò ci impone.

Per esempio, anche se siamo connessi 24 ore al giorno, dovremmo domandarci se sappiamo davvero cosa succede intorno a noi. Perché un giorno un bambino qualsiasi probabilmente si chiederà o ci chiederà: ma come è possibile che tutti sapessero tutto e nessuno abbia fatto nulla per fermare il male?

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