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Il presidio permanente degli operai Alcoa, tra cui Elvio, Ennio e Christian. Leader nel settore dell’alluminio, nel 2012 la multinazionale statunitense ha interrotto la produzione nella fabbrica di Portovesme a causa della mancanza di infrastrutture adeguate ma soprattutto per gli alti costi dell’energia in Italia, lasciando i suoi operai senza lavoro. Con questa lunga forma di protesta, i lavoratori chiedono un intervento politico che agevoli nuovi gruppi industriali interessati a comprare lo stabilimento. (Federica Mameli)
La Portovesme srl, del gruppo svizzero Glencore, colosso mondiale per le materie prime, produce zinco e piombo estraendoli dai fumi di acciaieria, cioè dagli scarti di lavorazione dell’acciaio. Il cuore dell’impianto della Portovesme sono i forni Waeltz che consentono un doppio profitto: estrarre materia da trattare e rivendere, e smaltire gli scarti provenienti da altre acciaierie d’Italia e spesso dall’estero. Dai fumi d’acciaieria la percentuale di recupero della Portovesme srl è solo del 25 per cento; il restante 75 per cento – scarto dello scarto – è composto da rifiuti tossici che sono smaltiti nell’ormai colma discarica di Genna Luas. In Italia, in contrasto con le normative europee, i rifiuti speciali che entrano in un ciclo produttivo sono classificati materie prime secondarie. (Federica Mameli)
Irene, impegnata insieme al marito e al figlio nel recupero delle nasse. Portoscuso, nota soprattutto per la sua antica tonnara, continua a fare della pesca una delle fonti di reddito delle famiglie. (Federica Mameli)
Manovre di scarico di una nave che trasporta pet-coke diretto alla Portovesme srl che lo usa come carburante per i forni Waeltz. Il suo elevato tenore di zolfo lo rende un combustibile altamente inquinante. 
Portovesme possiede un unico porto industriale e turistico, nel quale transitano i carichi da e per le fabbriche e i passeggeri diretti alla vicina isola di Carloforte. La minaccia della contaminazione è tale che nei giorni in cui il maestrale soffia forte la capitaneria di porto è costretta a interrompere lo scarico delle merci. (Federica Mameli)
Nel maggio del 2014, il sindaco di Portoscuso ha emesso un’ordinanza rivolta a dodici allevamenti – tra questi quello in cui Luigi lavora come pastore – per vietare la commercializzazione, macellazione e distribuzione di pecore, capre e bovini. Il provvedimento, che ordinava anche la distruzione del latte prodotto, è stato preso a causa di un superamento dei limiti di contaminazione da metalli pesanti, rilevato nel latte degli animali allevati qui. (Federica Mameli)
Gregge al pascolo, sullo sfondo il polo industriale. Gli allevatori della zona denunciano aborti nelle loro greggi, nascite di agnelli deformi e il progressivo dimagrimento degli animali che pascolano vicino alle fabbriche. In questi terreni, i rilevamenti mostrano eccessi pericolosi di fluoro, piombo, mercurio e cadmio, metalli pesanti che contaminano gli animali allevati qui. La patologia più diffusa, diagnosticata dall’Istituto zooprofilattico di Cagliari, è la fluorosi cronica che provoca – nei casi più gravi – malformazioni allo scheletro animale. (Federica Mameli)
Presidio degli operai Alcoa. Con i suoi 130mila abitanti, per un terzo disoccupati o in cassa integrazione e un terzo pensionati, la provincia di Carbonia-Iglesias, dove si trova il Sulcis, è considerata una delle province italiane più povere. La mancanza di concrete alternative occupazionali – il tasso di disoccupazione giovanile è al 74 per cento – rende fragilissima la posizione degli operai, aggrappati ai destini delle poche fabbriche sopravvissute, che oggi sono le uniche potenziali fonti di reddito. (Federica Mameli)
La ciminiera di 250 metri della centrale elettrica Enel Grazia Deledda del polo industriale di Portovesme, vista dal vicino comune di Portoscuso. La centrale, tuttora attiva, brucia olio, carbone e biomasse. La ciminiera, inizialmente di 50 metri, fu innalzata a 250 per evitare che i fumi si concentrassero solo su Portoscuso. Con questa altezza i fumi sono in grado di raggiungere la troposfera. Il polo, negli anni di crescita ed espansione, dava lavoro a circa seimila persone. (Federica Mameli)
Messy, arrivata da Addis Abeba a 15 mesi, vive a Iglesias con la sua famiglia adottiva. Ha tre sorelle. Il padre, caporeparto in Alcoa, esaurito il periodo di cassa integrazione ha da poco ricevuto la lettera di licenziamento. La famiglia di Messy è monoreddito, come la maggior parte dei nuclei familiari del Sulcis. (Federica Mameli)
Portoscuso, la costa a poche centinaia di metri a nord del polo industriale. (Federica Mameli)

Il porto dei veleni

Portoscuso – il suo antico nome spagnolo, Puerto Escuso, significa porto nascosto, per le alte dune di sabbia che c’erano un tempo – era un piccolo borgo di baracche abitate da tonnarotti, i pescatori di tonni, durante la stagione di pesca.

Il polo industriale di Portovesme – frazione di Portoscuso – nasce alla fine degli anni sessanta con l’obiettivo di supplire alla crisi delle miniere che avevano dato lavoro alla zona sudoccidentale della Sardegna.

Così, questo angolo di Sulcis cambia pelle e accoglie otto chilometri quadrati di fabbriche, ciminiere e discariche affacciati sul mare. Sono in molti a pensare che la deturpazione ambientale di oggi sia il risultato di un accordo tra la classe politica e gli industriali: promesse di benessere e lavoro in cambio di un uso spregiudicato del territorio. L’isolamento geografico e l’inadeguatezza delle amministrazioni locali hanno permesso che tutto accadesse.

Dai primi anni novanta la raccolta dell’uva e la produzione del vino sono proibite a causa della contaminazione da piombo. Negli ultimi mesi si sono alternate ordinanze che vietano agli allevatori locali la commercializzazione del latte, delle carni ovine, caprine e bovine. E ancora più recentemente nuovi provvedimenti vietano la raccolta di molluschi e granchi e limitano il consumo di prodotti ortofrutticoli.

Sorvegliato speciale è il bacino di fanghi rossi, una discarica sul mare a poche centinaia di metri dai centri abitati, in cui per vent’anni sono stati stipati venti milioni di metri cubi di residui per la produzione dell’allumina. Una bomba ecologica lasciata in balia delle intemperie che ha il colore rosso della bauxite e un’estensione di 185 ettari.

Dal maggio del 2014, lo spiazzo adiacente allo stabilimento Alcoa è occupato dal presidio permanente dei suoi operai, dopo che la multinazionale ha abbandonato Portovesme lasciando i suoi dipendenti, diretti e indiretti, senza lavoro e con la cassa integrazione scaduta.

Quarant’anni dopo l’arrivo dell’industria pesante – che nell’ultimo decennio ha imboccato la sua fase di graduale abbandono del polo – la catena alimentare della zona appare compromessa, con un serio incremento nella popolazione di patologie tumorali e correlate all’asbesto.

Il reportage Puerto Escuso della fotografa Federica Mameli, realizzato tra giugno e novembre 2014, vuole raccontare il conflitto sociale e ambientale in atto nel Sulcis, che si trova in una delle province più povere d’Italia.

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