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Firestorm, dalla serie The quiet of dissolution, 2008. (Sonja Braas, Per gentile concessione dell'artista e della galleria Fabian & Claude Walter)
Badlands national monument, South Dakota, il 14 luglio 1973. (Stephen Shore, Per gentile concessione dell'artista e della galleria 303)
KING (after Alfred Wertheimer’s 1956 picture of a young man named Elvis Presley), 2015-2016. (David Claerbout, Per gentile concessione dell'artista e delle gallerie Sean Kelly e Micheline Szwajcer)
33 Saint-Jean-de-Luz, 2008. (Elger Esser, Per gentile concessione dell'artista)
McLean, Virginia, dicembre 1978. (Joel Sternfeld, Per gentile concessione di Luhring Augustine e della collezione Zabludowicz)
MC_01/05, 2006. (Julie Monaco, Per gentile concessione dell'artista e della galleria Ernst Hilger)
You are here #5, 1999. (Sonja Braas, Per gentile concessione dell'artista e della collezione Dz Bank Art)
2729, 2012. (Jörg Sasse, Per gentile concessione della galleria Wilma Tolksdorf)
U.S. 97, South of Klamath Falls, Oregon, il 21 luglio 1973. (Stephen Shore, Per gentile concessione dell'artista e della galleria 303)

Le verità nascoste della fotografia

“È detto unheimlich tutto ciò che potrebbe restare segreto, nascosto, e che è invece affiorato”. Così il filosofo tedesco Friedrich Schelling definisce nel 1835 un sentimento difficile da descrivere, anticipando di qualche anno la riflessione di Sigmund Freud sul perturbante.

Paura, spaesamento, stupore: Das Unheimliche (uncanny, in inglese) per Freud è qualcosa di familiare ma allo stesso tempo estraneo che suscita in tutti noi sensazioni di confusione che, a seconda della risposta individuale, possono assumere sfumature più o meno negative.

Con la mostra Magical surfaces: the uncanny in contemporary photography, organizzata dalla fondazione Parasol Unit di Londra (fino al 19 giugno), i curatori hanno voluto esplorare il perturbante attraverso le opere di sette autori: Sonja Braas, David Claerbout, Elger Esser, Julie Monaco, Jörg Sasse, Stephen Shore e Joel Sternfeld.

Ognuno di questi artisti hanno manipolato l’immagine fotografica interpretando in maniera diversa e personale il concetto di perturbante. David Claerbout riporta in vita un Elvis ancora non famoso con un’animazione in 3d fatta ricostruendo digitalmente una foto del 1956. Mentre i paesaggi di Julie Monaco e Sonja Braas potrebbero sembrare foto realizzate in maniera tradizionale ma sono invece il prodotto di elaborazioni al computer o partono da ricostruzioni artificiali con dei modellini. Le vecchie generazioni, Sternfeld e Shore, hanno raccontato il perturbante con mezzi più tradizionali, pellicole Kodahcrome e fotocamere analogiche, e sono riusciti a cogliere atmosfere che ancora oggi ispirano chi si confronta con l’arte fotografica.

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