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Mark, 50 anni, nel distretto di Lezhe, Albania 2011. Ultima di sei sorelle, Mark racconta che fin da piccola si sentiva una burrnesh. Da ragazza ha abbandona la famiglia e poi ha lavorato in diverse città dell’Albania mantenendo quasi sempre nascosta la sua vera identità. Durante il periodo della dittatura ha lavorato come metalmeccanico perdendo tre dita della mano destra. Oggi vive con i suoi gatti e quando può va a trovare il fratello emigrato negli Stati Uniti. (Paola Favoino)
Gjin, distretto di Lezhe, Albania 2011. Gjin, 84 anni, è diventata burrnesh a 22 anni, dopo aver rotto il fidanzamento con il suo promesso sposo. Secondo il kanun, una promessa non mantenuta (besa) si paga con il sangue. (Paola Favoino)
Albania, 2012. Durante la sua dittatura, Enver Hoxha fece costruire 700mila bunker sostenendo la necessità di proteggere gli albanesi da un probabile attacco nemico. Ancora oggi, lungo le coste e i confini interni se ne trovano molti, spesso nascosti dalla vegetazione. Quelli di Tale sono tra i pochi completamente scoperti. (Paola Favoino)
Ritratto di famiglia a casa di Gjin, Albania, 2011. (Paola Favoino)
Fize, 56 anni, Albania, 2013. Diventa burrnesh all’età di 14 anni dopo la morte del fratello maggiore e contro il volere della madre. (Paola Favoino)
Ristorante sulla laguna di Patok, Albania, 2013. (Paola Favoino)
Foto d’archivio. Gjin (a sinistra) nel giorno del matrimonio di sua nipote. Acquisire lo status di burrnesh le ha conferito molti diritti che da donna non avrebbe avuto, come combinare matrimoni, viaggiare e vivere da sola, vendere e comprare terreni, bere raki e fumare. (Paola Favoino)
Gjin, Albania, 2011. (Paola Favoino)
Interno casa di Fize, burrnesh. Albania, 2013. (Paola Favoino)
Scutari, Albania 2013. G., 48 anni, diventa burrnesh a 17 anni dopo la morte del padre. Oggi vive con la madre e la famiglia di Ilir, il fratello minore che grazie al suo sacrificio ha potuto studiare. (Paola Favoino)

Vergini giurate

La burrnesh è una donna di un paese balcanico, in genere l’Albania settentrionale, il Kosovo e il Montenegro, che decide di vestire i panni dell’uomo e come tale è riconosciuta dalla società in cui vive. Nelle comunità albanesi più arcaiche questa esigenza nasceva dal presupposto che una donna non potesse vivere da sola.

Il kanun, il più importante codice consuetudinario albanese, riconosce alle donne che scelgono lo stato di burrnesh di acquisire gli stessi diritti e doveri giuridici che tradizionalmente, nelle società patriarcali, sono attribuiti alle figure maschili. Per diventare burrnesh, la donna partecipa a una cerimonia in cui fa un “giuramento di conversione” davanti agli uomini più influenti del villaggio. In questa occasione avviene la vestizione ufficiale con abiti maschili e il taglio dei capelli. Ma soprattutto la donna fa un voto di castità.

Le motivazioni dietro a questa scelta sono molteplici: la mancanza di eredi maschi dopo la morte del capofamiglia, il rifiuto di una proposta di matrimonio oppure perché la ragazza è lesbica e non può dichiararlo apertamente. Oggi le giovani albanesi non devono più scegliere questa strada ma molte burrneshe, ormai anziane, sono vive per raccontare la loro storia.

A queste “vergini giurate” la fotografa Paola Favoino ha dedicato il progetto Je burrneshe!, in mostra alla galleria Raffaella De Chirico di Torino fino al 29 ottobre. Il lavoro presenta una serie di foto e un cortometraggio realizzati dal 2010. Dopo numerosi viaggi in Albania, Favoino è venuta a conoscenza di questa realtà e ha incontrato Gjin, la prima burrnesh, che oggi ha ottant’anni. Qui le donne si salutano dicendo “je burrneshe?”, “sei un uomo o sei una donna?”.

Gjin è stata la sua guida in un microcosmo in cui esistono donne che vivono come uomini, ma non sono uomini. “In alcuni casi mi ha attratto la loro maschera, così pesante che a uno sguardo attento quasi non reggeva”, racconta la fotografa. “In altri casi il tempo aveva fatto coincidere la persona con il personaggio”.

Per definirle si usa la parola burr (uomo) declinata al femminile. La storia di Gjin, e delle altre cinque burrneshe che Favoino è riuscita a incontrare, è il racconto di una diversità socialmente accettata. Se per alcune è stato un sacrificio e per altre una scelta di libertà, quello che le accomuna è una solitudine inesorabile che va di pari passo con la loro condizione.

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