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Isabelle Huppert, 1986. (Sylvia Plachy)
Jean-Michel Basquiat, 1986. (Sylvia Plachy)
Pedro Almodóvar, 1991. (Sylvia Plachy)
Brian De Palma, 1980. (Sylvia Plachy)
Tilda Swinton, 2010. (Sylvia Plachy)
Tom Waits, 1985. (Sylvia Plachy)
Donald Trump autografa dei soldi, 1995. (Sylvia Plachy)
Dario Fo e Franca Rame, 1986. (Sylvia Plachy)
Adrien Brody sul set di Summer of Sam, 1998. (Sylvia Plachy)
Andy Warhol, 1973. (Sylvia Plachy)

Le conversazioni silenziose di Sylvia Plachy

Looking back while going forward è la prima personale italiana dedicata alla fotografa Sylvia Plachy. La mostra, curata da Roberta Fuorvia e Yvonne De Rosa, è ai Magazzini fotografici di Napoli, fino al 21 novembre.

Plachy nasce nel 1943 a Budapest, ma nel 1956, in seguito alla rivoluzione ungherese si rifugia a New York con la famiglia. A 13 anni non è semplice ritrovarsi in mezzo a uno sconvolgimento di questa portata, così il padre le regala una macchina fotografica per farla sentire meno sola. La fotografia diventa da subito una maniera per ritrovare se stessa. Come racconta al New York Times: “Credo di essermi avvicinata alla fotografia perché da piccola sono stata una profuga e ho fatto molto affidamento sull’osservazione silenziosa di ciò che mi accadeva intorno. Ho cercato di capire cosa succedeva senza spiegarlo con le parole”.

Nel 1965 si diploma al Pratt institute dove incontra André Kertész, il suo maestro, al quale resterà sempre legata da una profonda amicizia. Dal 1974 al 2004 lavora regolarmente per il Village Voice, lo storico quotidiano gratuito di New York. Per otto anni le viene affidato il compito di vagare per la città e fotografare quello che la colpisce. L’esperienza diventa una preziosa scuola di street photography da cui nasce il libro Sylvia Plachy’s unguided tour, vincitore nel 1991 dell’Infinity award.

Nella sua carriera ha viaggiato in ogni angolo del mondo, lavorando per The New York Times Magazine, The New Yorker, Granta, Artforum, Fortune e altre riviste. Tra i suoi libri più recenti ricordiamo Self portrait with cows going home (2005), in cui raccoglie quaranta anni d’immagini dell’Ungheria e dei paesi dell’ex blocco sovietico.

Il suo stile non si preoccupa della tecnica, rendendo gli “errori” un tratto distintivo: un atteggiamento che rivela l’approccio immersivo di Plachy alla fotografia. Dagli inizi, come ancora oggi, quando scatta cerca di far sparire tutto ciò che la circonda e perfino se stessa. Non ama riflettere sulla fotografia o spiegare le sue immagini, “preferisco ‘odorarle’ e comprenderle con l’istinto”.

La mostra di Napoli si sofferma sui ritratti nel mondo dell’arte e dello spettacolo. Che si tratti di Andy Warhol, Tilda Swinton, Dario Fo e Franca Rame, con ognuno di loro Plachy riesce a instaurare una conversazione intima e ne escono come spogliati, rimanendo avvolti solo dalle loro caratteristiche più spontanee.

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