×

Fornisci il consenso ai cookie

Internazionale usa i cookie per mostrare alcuni contenuti esterni e proporti pubblicità in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di più o negare il consenso, consulta questa pagina.

La tacita, San Telmo, 1987. (Facundo de Zuviría)
Elvira, avenida San Juan y Balcarce, San Telmo, 1985. (Facundo de Zuviría)
Dalla serie Siesta argentina, 2003. (Facundo de Zuviría)
Cinema porno a Lavalle, Microcentro, 1989. (Facundo de Zuviría)
Casita en la autopista, dalla serie Estampas porteñas, 1984. (Facundo de Zuviría)
Restaurante Aeropuerto, Microcentro, 1988. (Facundo de Zuviría)
Cinema a Belgrano, dalla serie Estampas porteñas, 1987. (Facundo de Zuviría)
Gaucho pop, Montserrat, 1984. (Facundo de Zuviría)
Óptica, San Telmo, dalla serie Estampas porteñas, 1984. (Facundo de Zuviría)
Funeraria, Constitución, dalla serie Estampas porteñas, 1992. (Facundo de Zuviría)

Le modeste differenze di Facundo de Zuviría

La musa che ispira da trent’anni il fotografo argentino Facundo de Zuviría è Buenos Aires, metropoli cosmopolita di cui però ha raccontato il carattere meno turistico, soffermandosi su quei dettagli trascurati che testimoniano i continui cambiamenti della città.

Facundo de Zuviría (1954) viene da una famiglia di avvocati e anche lui ha studiato legge per diventarlo. La passione per la fotografia però è stata più forte e ha comincia a collaborare con i quotidiani locali. A metà degli anni ottanta ha lasciato i giornali per lavorare in un programma culturale che ha coinvolto diversi quartieri di Buenos Aires. Si è trovato così a esplorare avidamente zone meno conosciute, che appartengono solo a chi vive e prende il caffè tutti i giorni nello stesso barrio.

Nelle sue foto trova spazio l’ossessione per le linee, le forme che si ripetono e che tracciano con grazia una visione malinconica di qualcosa che sta scomparendo.

Il suo primo libro è del 1996, Estampas porteñas, ma il progetto che l’ha portato a esporre all’estero è Siesta argentina (2003), ispirato dalla recessione del 2001. Qui il fotografo usa la ripetitività delle facciate dei negozi chiusi, segnate da graffiti o frasi di malcontento, per documentare la profondità della crisi. Nella scelta del titolo tuttavia de Zuviría vuole essere ottimista; la siesta è solo una condizione temporanea in cui “stiamo dormendo ma da cui ci sveglieremo”, come racconta al New York Times.

Secondo Alexis Fabry, uno dei curatori della prima mostra statunitense dedicata a de Zuviría, queste immagini non sono frutto del caso, ma “dello sforzo per ricostruire la città, a partire dai suoi fragili resti, le sue ‘modeste differenze’, prendendo in prestito le parole di Jorge Luis Borges”.

Siesta argentina e altri lavori di de Zuviría sono esposti all’Americas Society di New York, fino al 1 aprile.

pubblicità