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“Un’immagine scattata con l’obiettivo di mio padre”. (Mayumi Suzuki)
“Un’immagine scattata da mio padre quando era bambina”. (Mayumi Suzuki)
“Un’immagine scattata durante la mia infanzia. Le foto recuperate tra le macerie avevano perso il colore in alcune parti, diventando bianche. Queste cicatrici sono molto simili ai miei ricordi, che sto pian piano perdendo”. (Mayumi Suzuki)
“Nel 2016, in occasione del quinto anniversario dello tsunami, ho invitato mio zio, gli amici dei miei genitori e i vicini sul luogo in cui una volta si trovava lo studio fotografico. Lì, siamo riusciti a condividere il dolore e il lutto. La foto sembra mostrare la speranza della luce delle candele, ma sembra anche che gli spiriti dei defunti stiano tornando nel loro villaggio, a casa”. (Mayumi Suzuki)
“Le ferite sulle immagini che ho recuperato a volte somigliavano al profilo di una penisola su una mappa. La costa pacifica del nord del Giappone è stata colpita molte volte dagli tsunami, tra cui lo tsunami Meiji Sanriku nel 1896, Showa Sanriku nel 1933 e un grande tsunami causato da un terremoto al largo della costa cilena nel 1960. Nel mio libro ho creato uno strato con le foto danneggiate della mia famiglia che ho sovrapposto a una mappa geografica”. (Mayumi Suzuki)
“Questo era il nostro paese, prima dello tsunami. Questa foto è stata scattata da mio padre nel 2006. Onagawa aveva una popolazione di diecimila persone ed era un villaggio di pescatori, uno dei tre luoghi più pescosi del mondo. La tragedia ha fatto 827 vittime, tra defunti e dispersi”. (Mayumi Suzuki)
“Tutti gli scatti che ho ritrovato sono stati fatti da mio padre, e quando li ho visti mi sono tornati alla mente molti ricordi, anche se frammentati. Sono la prova che noi abbiamo vissuto in quei luoghi”. (Mayumi Suzuki)
“Immagini scattate durante la mia infanzia”. (Mayumi Suzuki)
“Che messaggio volevano lasciare i miei genitori? Scattare foto con l’obiettivo di mio padre è stato un modo per affrontare questa domanda”. (Mayumi Suzuki)
“Nel 1994 mio padre aveva fotografato alcuni operai che stavano costruendo una grande nave in legno a San Juan Bautista, in California. Dopo lo tsunami qualcuno ha recuperato il suo portfolio dalle macerie, ma era difficile pulirlo, le immagini erano rovinate da fango, sabbia, petrolio e acqua”. (Mayumi Suzuki)
“Immagini scattate con l’obiettivo di mio padre. Che messaggio volevano lasciare i miei genitori mentre stavano morendo? Questa è la domanda che sta alla base del mio progetto”. (Mayumi Suzuki)

Per non dimenticare

La fotografa Mayumi Suzuki ha perso i suoi genitori nel terremoto che l’11 marzo 2011 ha colpito la costa orientale della regione di Tōhoku, nel nord del Giappone. Il padre e la madre sono tra le migliaia di persone disperse a Onagawa, una piccola città di pescatori, dove la fotografa è nata e cresciuta.

Il padre di Suzuki gestiva uno studio fotografico nello stesso edificio in cui abitava con tutta la famiglia. “Dove c’erano le foto e la camera oscura erano rimaste solo macerie”, racconta la fotografa. Piano piano Suzuki è riuscita a recuperare delle foto, una delle macchine fotografiche del padre e un lavoro che aveva fatto su alcuni operai in California. “Le foto recuperate erano molto rovinate dalla polvere, dall’acqua e dal fango. Ma quei segni mi facevano pensare alle cicatrici lasciate nella mia città dal terremoto”.

Sono stati quegli oggetti ritrovati a spingere Suzuki a cominciare il suo progetto The restoration will. “Che messaggio volevano lasciare i miei genitori mentre stavano morendo? Cosa direbbero del fatto che sono diventata una fotografa? Scattare foto con l’obiettivo di mio padre è stato un modo per affrontare queste domande; ho avuto la sensazione di poter continuare a parlare con loro”, racconta la fotografa.

Il lavoro di Suzuki è in mostra, fino al 3 maggio, nella galleria Spazio Labò, a Bologna, che l’ha prodotta e curata. The restoration will è diventato anche un libro pubblicato alla fine del 2017 da Ceiba editions.

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