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I, Oblomov, 2017. (Ikuru Kuwajima)
I, Oblomov, 2017. (Ikuru Kuwajima)
I, Oblomov, 2017. (Ikuru Kuwajima)
I, Oblomov, 2017. (Ikuru Kuwajima)
I, Oblomov, 2017. (Ikuru Kuwajima)
I, Oblomov, 2017. (Ikuru Kuwajima)
I, Oblomov, 2017. (Ikuru Kuwajima)
I, Oblomov, 2017. (Ikuru Kuwajima)
I, Oblomov, 2017. (Ikuru Kuwajima)

I, Oblomov

“In via Gorochovaja, in una di quelle grandi case, la cui popolazione sarebbe stata sufficiente per tutta una città di provincia, se ne stava di mattina a letto nel suo appartamento Ilja Iljič Oblomov”.

Comincia così il romanzo Oblomov dello scrittore russo Ivan Aleksandrovič Gončarov, pubblicato nel 1859, che racconta la vita accidiosa del suo protagonista.

A distanza di più di 150 anni, il fotografo giapponese Ikuru Kuwajima si ispira al personaggio indolente e incarna l’oblomovismo, proponendo un’interpretazione visiva molto personale dell’insondabile anima russa.

Una serie di autoritratti ironici in cui Kuwajima giace su letti e divani di stanze diverse, in città diverse: Kazan, Simferopol, Mosca, Kirov, Almaty, Kiev, Samara. Cambia lo scenario, ma il torpore rimane costante e diventa una specie di inno all’apatia.

Il progetto I, Oblomov, curato da Katerina Zueva, è in mostra a Mosca, al Lumiere brothers center for photography, fino al 13 maggio nell’ambito del Moscow Photobookfest 2018, che invece proseguirà fino al 3 giugno 2018.

Insieme alle opere sarà possibile sfogliare anche il libro omonimo.

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