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Bambini di etnia karo giocano lungo le rive orientali del fiume Omo, 2011. I karo vivono di pesca e agricoltura, rese possibili dalle inondazioni periodiche del fiume. (Fausto Podavini)
Un uomo di etnia daasanach beve l’acqua del fiume Omo, 2013. (Fausto Podavini)
Operai etiopi lavorano in un cantiere della diga Gibe III, nel 2012. (Fausto Podavini)
Vicino a Turmi, Etiopia, 2012. Uomini di etnia hamer pascolano le mandrie nei letti dei fiumi durante il periodo di secca. A causa della scarsità dei terreni per il pascolo la principale fonte di guadagno per molte comunità è diventata il turismo. (Fausto Podavini)
Valle dell’Omo, al confine con il Kenya, 2013. Un bambino di etnia dassanech davanti al fiume Omo. La scarificazione sulla spalla è usata nella tradizione dell’etnia dassanech per segnare il passaggio dall’infanzia all’età adulta. Il numero dei tagli è legato a quello delle prede uccise durante la caccia. (Fausto Podavini)
Gibe III, Etiopia, 2016. La diga è alta 240 metri e lunga 630 metri, e ha un bacino di 14 miliardi di metri cubi. La compagnia Salini Impregilo dichiara che il costo totale per la costruzione della diga è stato di 1,4 miliardi di euro. (Fausto Podavini)
Uomini e donne di etnia bodi in una casa dove si consumano grappa e birra locali, molto alcoliche, prodotte con mais o sorgo in un villaggio nel parco nazionale di Mago, 2016. (Fausto Podavini)
Valle dell’Omo, 2016. Un guerriero di etnia mursi durante il rito donga, una battaglia in cui gli uomini di varie etnie si sfidano per dimostrare coraggio e resistenza al dolore. (Fausto Podavini)
Sud dell’Etiopia, al confine con il Kenya, 2016. La costruzione della strada principale che porta in Kenya è gestita da aziende cinesi. Nonostante sia stata asfaltata i camion non possono percorrerla perché quando è stata costruita non sono stati presi in considerazione il calore e il peso dei veicoli. I camion sono quindi costretti a passare sulla parte non asfaltata. (Fausto Podavini)
Il mercato delle etnie bodi e konso, nel sud dell’Etiopia, 2016. Un uomo ha appena venduto una mucca a un gruppo di operai cinesi. La carne sarà usata per la mensa del cantiere. Fino a qualche anno fa nei mercati si praticava il baratto, mentre la presenza di investitori stranieri fa girare molti più soldi tra le comunità, che spesso però sono usati per comprare alcolici. (Fausto Podavini)
Il delta del fiume Omo che entra nel lago Turkana, al con fine tra Kenya ed Etiopia, 2017.
Un uomo di etnia konso fuma una sigaretta lungo la strada che porta ad Arba Minch, 2016. Droghe, sigarette e alcol sono sempre più diffuse nella zona. (Fausto Podavini)

Un’ombra sulla valle dell’Omo

Secondo il Fondo monetario internazionale, l’Etiopia è tra le cinque economie più dinamiche del mondo. La valle dell’Omo è una delle zone che subiscono di più le conseguenze negative di questo sviluppo.

Nel 2006 il governo etiope affidò alla compagnia italiana Salini Impregilo la costruzione della diga Gibe III sul fiume Omo, che è stata inaugurata il 17 dicembre 2016. Lungo le sponde dell’Omo vivono 300mila persone, appartenenti a venti etnie, che si sostengono con l’agricoltura, la pesca e la pastorizia, attività rese possibili dalle esondazioni periodiche del fiume.

Secondo alcuni esperti, la presenza della diga diminuirà la portata del corso d’acqua, provocando la riduzione delle piene naturali e della foresta, e mettendo a rischio le attività tradizionali delle comunità. “La diga non è stata pianificata con sufficiente attenzione ai suoi effetti sociali e ambientali”, sostiene Rudo Sanyanga, direttore per l’Africa di International rivers, un’organizzazione per la difesa dei fiumi.

Dal 2011 il fotografo Fausto Podavini ha documentato lo sviluppo e le conseguenze del progetto della diga Gibe III: “Ogni volta che tornavo nel paese mi rendevo conto degli effetti che troppo semplicemente spesso definiamo sviluppo”, dice Podavini, che per il suo lavoro è arrivato fino al lago Turkana, in Kenya, dove la diga Gibe III potrebbe abbassare il livello dell’acqua di dieci metri, cambiando la vita di migliaia di persone.

Il progetto di Podavini diventerà un libro, edito da FotoEvidence, a cui si può contribuire partecipando alla raccolta fondi, entro il 25 giugno.

Omo change ha vinto il World press photo 2018 e il grant della Fondazione Yves Rocher nel 2017. Fa parte del progetto Water grabbing, a story of water.

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