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Arese (Milano) 1982. Assemblea sindacale nello stabilimento della fabbrica di automobili Alfa Romeo. (Dino Fracchia)
Milano 1974. Operai della Pirelli in sciopero. (Dino Fracchia)
Milano 1976. Una manifestazione dei gruppi Lotta Continua e Movimento Studentesco. (Dino Fracchia)
Milano 1976. Il festival del proletariato giovanile di “Re Nudo” al Parco Lambro. (Dino Fracchia)
Milano 1976. Il festival del proletariato giovanile di “Re Nudo” al Parco Lambro. (Dino Fracchia)
Milano 1976. Una manifestazione femminista per il diritto all’aborto. (Dino Fracchia)
Milano 1977. Una manifestazione femminista per il diritto all’aborto davanti all’Arcivescovado. (Dino Fracchia)
Caorso (Piacenza) 1986. Una manifestazione contro la centrale nucleare. (Dino Fracchia)
Milano 2009. Una manifestazione dei centri sociali contro la repressione e la speculazione edilizia del comune di Milano che incoraggia gli sgomberi degli stabili occupati. (Dino Fracchia)
Milano 2019. Una manifestazione di giovani e studenti Global strike for future per chiedere interventi contro il riscaldamento globale. (Dino Fracchia)
Milano 2020. Una manifestazione di sindacati indipendenti di base e categorie di lavoratori senza garanzie davanti alla sede della regione Lombardia contro la crisi economica e la disoccupazione dovute alla pandemia. (Dino Fracchia)

L’occhio della rivolta

Piazza: dal latino “platĕa”, dal greco “plateía”, derivato di “platús”, “ampio, largo”.
O anche nel linguaggio giornalistico, il popolo considerato in contrapposizione ai governanti o alle istituzioni.

Il fotografo milanese Dino Fracchia, classe 1950, attraversa le piazze da cinquant’anni. Principalmente nella sua città, Milano, ma anche a Genova durante il G8 del 2001 o a Caorso negli anni ottanta, quando in Italia cresceva il movimento antinucleare.

Ora il suo archivio è stato raccolto nel libro In piazza, rabbia e passione (Edizioni Interno4) con cento fotografie scattate nelle piazze dagli anni settanta fino a oggi, per formare un lungo viaggio nella storia dei movimenti di protesta italiani.

Dalle proteste degli operai dei primi anni settanta, “quando i proletari avrebbero trovato il numero, la forza, la capacità di ribellarsi alla città-fabbrica e alle sue centinaia di orologi che segnano il tempo del lavoro sterminato e il tempo del vissuto ristretto”, come scriveva Primo Moroni nel libro Ca’ Lusca, si passa, tutti nudi, al parco Lambro di Milano nel 1976 durante il festival del proletariato giovanile organizzato dalla rivista Re Nudo – una delle principali riviste italiane dedicate alla controcultura – e si arriva poi nelle piazze delle femministe, che prendendosi lo spazio pubblico escono finalmente dalla sfera del privato.

Anche negli anni ottanta, quando tutto sembra finito, Fracchia segue ancora le tracce della rivolta nelle piazze e le trova nelle proteste contro le centrali nucleari e, negli anni novanta e duemila, nei centri sociali occupati.

E oggi? Anche oggi che lo stare in piazza sembra svuotato di significato e “l’agire politico è sentito come qualcosa di impossibile, non perché proibito ma perché ineffettuale, senza esito, svuotato di ogni concretezza”, come scrive Daniele Giglioli nel suo libro Stato di minorità, Fracchia accompagna il lettore tra i giovani di Fridays for future e tra chi ha perso il lavoro durante la pandemia.

“Il sogno è ancora lì. Negli occhi di chi si ritrova in uno stanzone dove le sedie sono meno delle persone e le scritte sui muri sono haiku rivoluzionari. Nelle mani che riempiono sacchetti con pacchi di pasta e giochi per bambini, che disegnano bandiere, che scorrono veloci su una tastiera. Il sogno possibile, un mondo nuovo”, scrive l’attivista Xina Veronese nel libro di Fracchia. “Cresce imperterrito lì. Dove si organizzano lotte, dove si abbracciano i diritti, dove si accolgono le vittime delle ingiustizie”.

Maysa Moroni

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