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Un taliban a Nangarhar, nel distretto di Khogiani, dicembre 2019. (Lorenzo Tugnoli)
L’entrata della clinica di Sangin, giugno 2022. L’edificio non è mai stato completato. (Lorenzo Tugnoli)
Kabul, marzo 2019. Il campo di Hussain Khail, dove vivono persone fuggite dai combattimenti tra esercito e taliban. (Lorenzo Tugnoli)
Wardak, ottobre 2021. Zalmay Adil, 16 anni, raccoglie soldi per la madrasa (la scuola islamica) del suo villaggio, Andar. (Lorenzo Tugnoli)
Studenti di una madrasa a Kabul, ottobre 2022. (Lorenzo Tugnoli)
Kabul, settembre 2021. (Lorenzo Tugnoli)
Kabul, marzo 2020. Un quartiere sciita dopo un attentato dell’Isis. (Lorenzo Tugnoli)
Il campo di Hussain Khail a Kabul, febbraio 2019. (Lorenzo Tugnoli)

L’Afghanistan tra realtà e rappresentazione

Il fotografo premio Pulitzer Lorenzo Tugnoli ha lavorato per più di un decennio in Afghanistan, dove ha vissuto tra il 2019 e il 2023. Molte delle foto che ci hanno raccontato il paese in quel periodo cruciale, un po’ prima e un po’ dopo il ritiro delle truppe occidentali e del ritorno dei taliban al governo di Kabul, sono sue. Una responsabilità, quella della rappresentazione di un paese in un momento di passaggio e di accadimenti continui, su cui il fotogiornalista s’interroga nel libro It can never be the same, appena uscito per Gost, con saggi di Francesca Recchia e Habib Zahori e realizzato grazie al contributo di Emergency.

Come probabilmente succede prima o poi a chi fa il suo mestiere, Tugnoli si chiede in particolare quanto la sua sia una testimonianza di fatti che avvengono davanti ai suoi occhi e che lui comprende appieno e quanto invece sia il tentativo di riprodurre un’immagine preconcetta del paese. Ad aiutarlo in questa riflessione c’è la ricercatrice Francesca Recchia, con cui Tugnoli aveva già collaborato per realizzare The little book of Kabul (2014).

Per i vent’anni in cui le forze e i giornalisti occidentali sono stati presenti in Afghanistan, abbiamo imparato a familiarizzare con questo paese lontano e ci siamo costruiti un’idea di come fosse fatto proprio basandoci sui resoconti, anche per immagini, di professionisti come Tugnoli. In questo modo ha preso forma quello che Recchia nel saggio conclusivo definisce “un immaginario collettivo che precede ogni contatto col paese e che offusca l’esperienza diretta di quello che si incontra nei fatti”.

Sulla base di questa “disconnessione” tra immaginario e realtà, nota la ricercatrice, spesso a migliaia di chilometri di distanza si prendono decisioni politiche ignorandone le ripercussioni. La responsabilità di chi racconta, quindi, è immensa.

Le immagini scelte da Tugnoli per il volume sono in bianco e nero e molto contrastate, così da sembrare quadri astratti (le vedute aeree dei paesaggi) o scene teatrali poco tipiche del fotogiornalismo (certi scatti in cui fa un uso caravaggesco della luce). Molte delle foto potrebbero esistere benissimo estrapolate dal contesto, slegate da quello che raccontano, immagini a volte surreali, perfino ironiche. Le didascalie sono lasciate alla fine, per permettere al lettore di guardare e farsi un’idea senza essere influenzato dal testo.

A completare la riflessione, Habib Arzari firma un racconto di vita quotidiana, in contrasto con la narrazione convenzionale veicolata dai mezzi d’informazione, così poco concentrati sugli individui.

It can never be the same sarà presentato nella libreria del Palazzo delle esposizioni a Roma da Lorenzo Tugnoli, Simonetta Gola e Giulia Tornari alle 18:30 del 29 ottobre 2025.

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