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La seconda fase della missione navale nel Mediterraneo

Un poliziotto greco a Lesbo, il 5 ottobre, durante uno sbarco di profughi siriani. (Aris Messinis, Afp)

Il 7 ottobre comincia la seconda fase della missione militare europea Eunavfor Med, per il contrasto dei trafficanti di esseri umani nel Mediterraneo meridionale. Sei navi sono già state schierate in acque internazionali, davanti alle coste libiche: si tratta di una portaerei italiana, tre fregate (francese, britannica e spagnola) e due navi tedesche.

Almeno altre tre navi, da Belgio, Regno Unito e Slovenia, dovrebbero raggiungere l’area entro la fine di ottobre, completando la flotta, che include anche quattro aerei e almeno 1.300 uomini.

Fino a oggi la missione, guidata dall’ammiraglio italiano Enrico Credendino, ha svolto operazioni d’intelligence, attraverso satelliti, droni, intercettazioni elettroniche, in preparazione alle fasi successive dell’intervento.

La seconda fase dell’operazione Eunavfor Med è stata approvata il 14 settembre scorso dall’Unione europea con l’obiettivo di identificare le imbarcazioni e distruggere i mezzi dei trafficanti nelle acque internazionali del Mediterraneo. Il via libera consente alla missione navale di fare abbordaggi, perquisizioni, sequestri e dirottamenti di navi sospettate di essere impiegate per il traffico di esseri umani, nel quadro del diritto internazionale, inclusa la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos).

Le imbarcazioni sequestrate saranno distrutte o rese inutilizzabili. Il personale a bordo delle navi da guerra europee, allo stesso tempo, può procedere all’arresto di scafisti e presunti trafficanti, ma a condizione di non entrare in acque territoriali libiche.

L’Alta rappresentate dell’Unione europea per la politica estera, Federica Mogherini, in visita al quartier generale della missione a Roma, la scorsa settimana ha annunciato che nei primi mesi dell’operazione sono stati arrestati 15 presunti trafficanti e sono stati distrutti 15 barconi.

Mogherini ha spiegato che l’operazione, in questa fase, sarà attiva solo in acque internazionali, dove i trafficanti porterebbero le navi per caricarle con i migranti, secondo le informazioni di intelligence raccolte nella prima fase. Non sarà possibile entrare in acque libiche, perché manca l’autorizzazione delle Nazioni Unite.

Le preoccupazioni delle associazioni umanitarie

Le organizzazioni che si occupano di migranti e rifugiati hanno espresso preoccupazione per l’inizio della seconda fase dell’operazione. Christopher Hein, portavoce del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir), in un comunicato ha dichiarato: “L’esperienza ci ha purtroppo insegnato che quando vengono messe in atto azioni di deterrenza, ma non si creano al contempo delle alternative possibili, i viaggi dei rifugiati diventano ancora più disperati. L’Unione europea sta mettendo in atto un programma di forte contrasto ai trafficanti, ma non sta agendo con altrettanta forza per aprire canali sicuri e legali per consentire alle persone che hanno bisogno di protezione di raggiungere l’ Europa e questo elemento ci preoccupa enormemente”.

“Vogliamo ricordare cosa successe nel 2009: quando l’Italia mise in atto la politica dei respingimenti nei confronti delle imbarcazioni partite dalla Libia, si aprì una nuova via di fuga attraverso il Sinai e lì centinaia di persone furono rapite e torturate atrocemente. Non si fermò il flusso di rifugiati fuggiti, ma solo la loro possibilità di chiedere protezione”, afferma.

Fiorella Rathaus direttrice del Cir aggiunge: “Crediamo che l’unico modo per contrastare il traffico di esseri umani e allo stesso tempo permettere ai rifugiati di essere protetti sia quello di intervenire offrendo soluzioni possibili. Attraverso programmi di reinsediamento che superino di molto i ventimila posti previsti dall’agenda della Commissione e attraverso l’attivazione di procedure di ingresso protetto, visti e canali umanitari. Proprio alla vigilia dell’Incontro Europeo dei Ministri dell’Interno abbiamo lanciato con We Move EU, una campagna per aprire canali di ingresso legali e sicuri”.

La terza fase dell’operazione ha bisogno del via libera dell’Onu

La terza fase dell’operazione navale nel Mediterraneo prevede che le navi militari europee possano entrare in acque libiche, e dal mare poter fare delle incursioni militari anche sulla terraferma. Questa fase necessita di due condizioni imprescindibili: la formazione di un governo di unità nazionale in Libia e la richiesta da parte di quest’ultimo di un intervento delle Nazioni Unite, che deve autorizzare la missione militare attraverso una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu.

L’accordo tra i due governi libici per un governo di unità nazionale è l’obiettivo dei colloqui di pace in corso sotto l’egida dell’Onu. L’inviato dell’Onu Bernardino León spera che l’intesa tra le autorità di Tripoli e quelle di Tobruk possa essere definitivamente raggiunta entro il 20 ottobre, data di scadenza del mandato del parlamento di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale, consentendo la formazione di un governo di unità nazionale libico.

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