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I cinque anni che hanno distrutto la Siria

Un bambino seduto su un carro armato a Kobane, il 27 marzo 2015. (Yasin Akgul, Afp)

La guerra in Siria è scoppiata il 15 marzo 2011 con le manifestazioni contro il regime di Bashar al Assad. In cinque anni si contano più di 270mila morti, e almeno la metà della popolazione è stata costretta a lasciare la propria casa. La cronologia:

  • 15 marzo 2011. Nel paese, sull’onda delle primavere arabe, scoppiano manifestazioni senza precedenti. Da più di quarant’anni al potere c’è la famiglia Assad (prima Hafez e poi, dal 2000, suo figlio Bashar). Alcuni cortei sono dispersi a Damasco, ma è soprattutto a Deraa (nel sud) che il movimento acquista forza in seguito agli arresti e alle torture di giovani sospettati di aver scritto slogan antiregime sui muri. Washington, Parigi e Londra condannano la repressione violenta dei manifestanti, mentre il regime denuncia una rivolta armata di gruppi salafiti. La contestazione si allarga.
  • 17 luglio 2012. L’Esercito siriano libero, principale componente della rivolta che unisce disertori e i civili che hanno preso le armi, prova a conquistare Damasco, ma il regime resiste. I ribelli lanciano la battaglia di Aleppo, che viene divisa tra le zone controllate dai ribelli e quelle controllate dal regime.
  • 30 aprile 2013. Hassan Nasrallah, leader dell’organizzazione sciita libanese Hezbollah, riconosce che i suoi combattenti sono schierati al fianco del regime. Assad infatti fa parte della corrente musulmana alawita (10 per cento della popolazione), espressione dell’islam sciita, mentre la maggior parte della popolazione è sunnita.
  • 21 agosto 2013. Il regime è accusato di aver usato il gas sarin in due zone controllate dai ribelli vicino a Damasco e di aver provocato, secondo Washington, la morte di 1.400 persone. A settembre, un accordo russo-statunitense sullo smantellamento dell’arsenale chimico siriano sospende in extremis i raid di Washington.
  • 14 gennaio 2014. Le milizie jihadiste del gruppo Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isil) conquistano la città di Raqqa. A fine giugno, l’Isil cambia nome in Stato islamico (Is) e annuncia la creazione di un califfato nelle zone conquistate in Siria e nel vicino Iraq.
  • 9 maggio 2014. La città vecchia di Homs, nel centro del paese, torna in mano all’esercito del regime dopo un assedio di due anni e durissimi combattimenti. I ribelli la lasceranno definitivamente alla fine del 2015.
  • 26 gennaio 2015. L’Is è cacciato da Kobane, alla frontiera con la Turchia, dopo più di quattro mesi di combattimenti guidati dalle forze curde con il sostegno dei raid della coalizione antijihadista coordinata dagli Stati Uniti.
  • 30 settembre 2015. La Russia, alleata del regime, avvia una campagna aerea contro i gruppi “terroristici”, tra cui l’Is. Ma Mosca è accusata di prendere di mira soprattutto le altre organizzazioni ribelli e non l’Is. L’esercito siriano riesce, con l’appoggio dell’aviazione militare russa, a riconquistare numerose regioni.
  • 27 febbraio 2016. Favorita da russi e statunitensi, entra in vigore una tregua tra il regime e i ribelli, favorendo il rilancio dei negoziati intersiriani. Restano fuori dall’accordo sia l’Is sia il Fronte al nusra, che controllano più del 50 per cento del territorio della Siria.
  • 14 marzo 2016. Ricominciano a Ginevra le trattative di pace tra regime e ribelli, sotto l’egida delle Nazioni Unite. Secondo il rappresentante dell’Onu Staffan de Mistura dovrebbero concludersi il 24 marzo. La Russia annuncia il ritiro dal conflitto.

Secondo L’Osservatorio siriano dei diritti umani sono 79mila i civili uccisi, cifra che comprende 13.500 bambini e 8.700 donne. Sono migliaia i dispersi, gli oppositori nelle carceri del regime e i membri delle forze lealiste catturati dai ribelli e dai gruppi jihadisti, tra i quali lo Stato islamico.

Almeno 13 milioni di persone hanno dovuto lasciare la loro casa, cinque milioni sono state costrette ad abbandonare il paese. La Turchia è oggi la principale terra d’asilo per questi rifugiati e ospita sul suo territorio tra i due milioni e i due milioni e mezzo di siriani; il Libano ne accoglie un milione e 200mila. In Giordania, circa 630mila sono registrati presso l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, ma secondo le autorità il numero reale è di più di un milione. In Iraq sono fuggiti 225mila siriani, 137mila in Egitto.

Secondo alcuni esperti, il conflitto ha fatto tornare indietro di trent’anni l’economia del paese, privata di quasi tutte le sue entrate; la maggioranza delle infrastrutture, inoltre, è stata distrutta. I sistemi di istruzione e sanità sono in rovina e le esportazioni sono crollate di oltre il 90 per cento dall’inizio della guerra. Per il ministero del petrolio le perdite dirette e indirette nel settore dell’energia si attestano a 58 miliardi di dollari. Nel 2015, una coalizione di 130 ong ha denunciato che la Siria vive in pratica senza luce, visto che a causa della guerra l’83 per cento della rete elettrica non funziona più.

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