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In Spagna vincono i conservatori, Podemos non supera i socialisti

Mariano Rajoy dopo aver votato in un seggio di Madrid, in Spagna, il 26 giugno 2016. (Juan Medina, Reuters/Contrasto)

Il Partito popolare (Pp) ha vinto le elezioni in Spagna, ma non ha i numeri per governare da solo: occupa 137 seggi dei 350 della camera, lontano dai 176 che garantiscono la maggioranza necessaria per formare un esecutivo, nonostante siano cresciuti del 2 per cento rispetto alle legislative del 20 dicembre 2015. Il Partito socialista (Psoe) resta il secondo più votato e manda in parlamento 85 rappresentanti: si tratta comunque del risultato più deludente dalle prime elezioni democratiche del 1977.

Smentendo i sondaggi e gli exit polls, Unidos Podemos (Up, coalizione tra Podemos e Izquierda Unida) non riesce a compiere “il sorpasso” sui socialisti e si consolida come la terza forza del paese con 71 deputati. Non è valsa a nulla la fusione in un’unica lista con i comunisti, visto che la somma dei seggi ottenuti dalle due formazioni nel 2015 è proprio 71.

Pablo Iglesias è comparso poco prima delle 23, con il 96 per cento delle schede scrutinate, e ha ammesso: “Questi risultati non sono soddisfacenti per noi. Aspettavamo dati diversi. Siamo preoccupati perché il blocco delle forze progressiste ha perso consensi”.

Ciudadanos, una giovane formazione di centrodestra, ha perso parte dei voti che aveva eroso al Pp nella precedente tornata elettorale e si ferma a 32 rappresentanti nell’aula di Madrid.

Poco è cambiato

Il risultato ricalca quello delle precedenti legislative, celebrate appena sei mesi e sei giorni fa: la Spagna è un paese diviso in quattro (e non più solo tra conservatori e socialisti come fino all’anno scorso) e complicato da governare. Dopo il 20 dicembre né il Pp né il Psoe erano riusciti a stringere alleanze tali da assicurarsi il sostegno della maggioranza del parlamento. Per quattro mesi ci hanno provato invano il leader popolare Mariano Rajoy, premier uscente, e poi il capo dell’opposizione, il socialista Pedro Sánchez, a cui il re ha dato l’incarico prima di sciogliere le camere e convocare nuove elezioni.

Da domani, la Spagna è punto e a capo: si aprono nuove consultazioni davanti a Felipe VI e delicati negoziati tra i leader. Nessun partito arriva ai 176 seggi semplicemente alleandosi con la forza più affine: non il Pp con Ciudadanos (169) e nemmeno il Psoe con Up (156). L’unica coalizione a due che garantirebbe un governo stabile è la più difficile da cimentare: quella tra popolari e socialisti.

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