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L’origine del nuovo focolaio a Pechino è ancora un mistero

Un operatore sanitario effettua un test per il covid-19 a un uomo che è stato nel mercato di Xinfadi, Pechino, 16 giugno 2020. (Kevin Frayer, Getty Images)

Il 10 giugno un uomo è andato dal medico a Pechino perché aveva la febbre e i brividi. È risultato positivo al Sars-cov-2 e il giorno dopo è stato ricoverato in ospedale. Così è finito un periodo di 55 giorni consecutivi senza nuovi casi di covid-19 in città e da allora il focolaio si è espanso. Secondo Xinhua, l’agenzia di stampa del governo cinese, finora 356mila persone sono state sottoposte ai test e sono stati confermati 137 casi di covid-19.

Il 18 giugno sono stati registrati 21 nuovi contagi, in leggero calo rispetto ai 31 del giorno precedente. Le autorità hanno chiuso tutte le scuole, gli hotel e i ristoranti nelle zone più a rischio, e hanno isolato 32 complessi residenziali. Il 16 giugno il livello di risposta all’emergenza è stato alzato da tre a due e anche se non è stato imposto il lockdown in città, gli abitanti sono invitati a non spostarsi.

Tutte le infezioni sono state ricollegate al mercato all’ingrosso di Xinfadi, un enorme complesso di 112 ettari che ospita duemila banchi dove sono in vendita prodotti agricoli, pesce e carne, ed è visitato ogni giorni da circa diecimila persone, tra clienti e lavoratori. Il mercato è stato chiuso, ma l’origine del nuovo focolaio ha suscitato una serie di speculazioni legate al confronto con il mercato di Huanan, a Wuhan, considerato l’epicentro iniziale della pandemia e il luogo dove il virus potrebbe essere passato dagli animali alle persone. In realtà, però, come conferma Dennis Normile in un articolo su Science, “l’origine del focolaio è ancora un mistero”.

Le autorità cinesi hanno riferito che una serie di superfici del mercato di Xinfadi sono risultate positive al Sars-cov-2, compreso un tagliere di una bancarella che vende salmone importato. Dato che non ci sono prove che il coronavirus infetti i pesci, un’ipotesi, spiega Normile, è che “dei lavoratori contagiati in Europa possano aver contaminato il pesce o l’imballaggio durante il trattamento”.

Anche il quotidiano China Daily, in un’intervista a Yang Peng, del Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie di Pechino, suggerisce che “le analisi preliminari sulla sequenza del genoma indicano che il virus è importato” e che potrebbe essere “una variante mutata proveniente dall’Europa”. Un’altra opzione, secondo Yang, è che l’origine sia da ricercare nella carne importata. Ma è anche possibile che un dipendente o un cliente abbia contratto il virus altrove e l’abbia diffuso nel mercato. Yang sottolinea che gli studi sono in corso: “Ancora non si sa come il virus sia arrivato a Pechino”, ha ammesso.

Dirk Pfeffer, epidemiologo veterinario della City university di Hong Kong, dubita che il virus sia arrivato al mercato attraverso il pesce. “Penso sia molto più probabile, e quindi plausibile, che sia arrivato tramite esseri umani contagiati”, ha detto a Science. Keiji Fukuda, un altro epidemiologo intervistato dalla rivista, è della stessa opinione: “Se l’ipotesi del pesce contaminato fosse vera, ci sarebbero dovuti essere focolai anche in altri luoghi che vendono salmone europeo”. Altri esperti hanno notato che il tagliere potrebbe essere stato esposto al virus prima di essere usato per tagliare il pesce, riferisce Kelly Dawson su Al Jazeera. Nel frattempo, comunque, le importazioni di salmone sono state sospese.

In un incontro a Shanghai il 16 giugno, inoltre, Gao Fu, direttore del Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie cinese, ha detto che i primi casi del nuovo focolaio di Pechino potrebbero risalire a un mese prima di quando è stato individuato, ma non erano stati rilevati perché le persone contagiate non presentavano sintomi. “Ci sono molti casi asintomatici o con sintomi leggeri e questo potrebbe essere un motivo della diffusione del virus nell’ambiente”, ha detto.

Pfeffer sottolinea che la carne e gli animali vivi venduti nei mercati di Xinfadi e di Huanan potrebbero non essere l’unica origine della diffusione del virus in quei luoghi: “Il gran numero di persone che attraversano i mercati o ci lavorano e le scarse condizioni igieniche rappresentano un rischio per l’amplificazione del virus”. L’aria umida e fredda potrebbe creare un ambiente favorevole. In un rapporto pubblicato il 17 giugno la Commissione centrale per l’ispezione disciplinare del partito comunista ha ammesso che il focolaio evidenzia la necessità di migliorare gli standard sanitari e di minimizzare i rischi per la salute nei mercati. “L’epidemia è uno specchio che riflette non solo gli aspetti legati alla sporcizia e alla confusione dei mercati all’ingrosso, ma anche il basso livello delle condizioni della loro amministrazione”, si legge nel rapporto.

Come sottolinea ad Al Jazeera Holly Snape, esperta di politica cinese all’università di Glasgow, nel Regno Unito, quello che sta succedendo a Pechino deve ricordare a tutti che “il virus non se ne andrà presto”. Non è ancora chiaro come si svilupperà, ma nel frattempo, conferma Snape, “dobbiamo imparare a conviverci e a gestirlo in modo da consentire alla vita di andare avanti, minimizzando allo stesso tempo le sue conseguenze”.

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