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Le incognite sul reddito di cittadinanza viste da Palermo

Piazza San Domenico, Palermo, 31 marzo 2017. (Alessio Mamo, Redux/Contrasto)

Alle dieci del mattino di un martedì di fine febbraio le poltroncine nere del centro assistenza fiscale (Caf) di via Leonardo da Vinci a Palermo sono tutte occupate. Una scena che si ripete nei più di trecento Caf del capoluogo siciliano, affollati dai tanti che dal 6 marzo potranno fare domanda per il reddito di cittadinanza.

Naturale che sia così: la Sicilia, che secondo l’Istat nel terzo trimestre 2018 aveva un tasso di disoccupazione del 19,5 per cento, è la seconda regione con più potenziali beneficiari della nuova misura. Secondo l’istituto di ricerca Svimez parliamo di quasi 182mila famiglie, mentre in Campania sarebbero 206mila e 280mila nel resto del centrosud.

Quello al patronato è un passaggio quasi obbligato: per ottenere l’assegno bisogna dimostrare di avere un Indicatore della situazione economica equivalente (Isee) al di sotto dei 9.360 euro, ed è dunque in uffici come quello di via Leonardo da Vinci che bisogna mettersi in fila. “In media gestiamo ottocento pratiche per l’Isee all’anno”, dice Giovanni Tarantino, responsabile del Caf. “Quest’anno, il 25 febbraio avevamo già superato i quattrocento certificati”.

Uno di questi è quello di Luigi Vetro, 44 anni: adesso è disoccupato, ma fino al 2017 ha lavorato nel settore della ristorazione. Quando ne parla gli si forma una lunga ruga sulla fronte: “Sono rimasto con la stessa azienda per 22 anni, poi è arrivato il fallimento”. L’indennità di disoccupazione, poi il Reddito di inclusione attiva, adesso una nuova speranza: “Non mi piace ricevere denaro senza fare nulla, spero mi aiutino a trovare un lavoro”.

Tra i documenti che gli servono per fare la domanda, oltre alla carta d’identità, al codice fiscale e alle targhe dell’auto, quelli che l’hanno fatto penare di più sono stati i certificati delle Poste. “Sono stati i più complicati da ottenere. Bisogna dichiarare la giacenza media del conto corrente, mi hanno fatto aspettare un mese. Per fortuna quasi tutti gli altri documenti erano gli stessi che servivano per il Reddito di inclusione”, dice.

Il paradosso dell’Inps
Viste dagli uffici che si occupano della misura, le somiglianze con il Rei sono considerate una sorta di benedizione. All’Inps, dove le dichiarazioni fornite ai Caf confluiscono per la verifica, nello scoprirlo hanno tirato un sospiro di sollievo.

Si può contare sull’esperienza dei dipendenti, ma non mancano i problemi. Oltre al reddito di cittadinanza, la sede siciliana dell’istituto di previdenza sociale si trova in questi giorni a fronteggiare le richieste per “quota 100”, il provvedimento voluto dal governo per riformare il modo in cui si va in pensione. Ma proprio in virtù della riforma, da agosto andranno via 287 dipendenti su circa duemila.

Un paradosso: più lavoro, meno lavoratori. “Abbiamo dovuto riorganizzarci”, spiega Sergio Saltalamacchia, direttore della sede regionale dell’Inps. “Abbiamo aperto più sedi distaccate, chiedendo aiuto alle circoscrizioni, e abbiamo introdotto un sistema di prenotazione telefonica per fissare gli appuntamenti. Solo per il reddito di cittadinanza ci aspettiamo un raddoppio delle pratiche, ma stiamo riducendo i tempi d’attesa”.

Per verificarlo basta scendere al piano inferiore: una manciata di gradini sotto l’ufficio del direttore c’è lo sportello Inps più grande della città, e la fila è consistente, ma ordinata.

Nei centri per l’impiego
Non si può dire lo stesso delle attese nei centri per l’impiego. Negli uffici della regione che dovrebbero gestire l’incrocio fra domanda e offerta di lavoro non c’è ancora un database aggiornato e alle nove del mattino di un giorno di fine inverno la struttura più grande della Sicilia, quella in viale Praga a Palermo, è appena aperta e già affollatissima, circa 200 persone si sono messe in coda all’alba.

“Il reddito di cittadinanza è la speranza di poter riprovare a costruire qualcosa qui”, dice Simona Castello, che ha 26 anni e la Sicilia tatuata su un braccio. Castello fino all’estate scorsa lavorava in Lombardia, poi ha deciso di tornare a casa. Sta cercando di ottenere la dichiarazione di disponibilità al lavoro, un documento che serve per essere assunti con gli sgravi fiscali, ma vede nel reddito di cittadinanza una specie di paracadute che le può tornare utile.

Quello di viale Praga a Palermo è solo uno dei 65 centri per l’impiego in Sicilia. Ci lavorano 1.737 persone, una cifra consistente rispetto ai 6.200 operatori in tutta Italia, e comunque molti di più rispetto ad altre regioni. Eppure non si riesce a far fronte alle richieste.

“Il problema è che i centri sono presenti a macchia di leopardo”, dice Antonio Scavone, che dalla fine di febbraio è il nuovo assessore regionale alla famiglia e al lavoro. “Dovremo riorganizzarli”, aggiunge. L’ipotesi su cui si lavora è di chiedere una sponda ai comuni per aprire qualche sportello in più, visto che la rete delle infrastrutture in Sicilia complica gli spostamenti, soprattutto nelle aree interne.

Pochi controlli
Non è l’unico fronte aperto. Secondo la Cgia di Mestre in Sicilia ci sono 303mila lavoratori in nero, mentre gli ispettori sono appena 96. “Al momento abbiamo migliaia di richieste di intervento arretrate, ma troppo poco personale”, ha detto Venerando Lo Conti, capo dell’ispettorato di Palermo.

Inoltre, non tutti gli ispettori si occupano di controlli sul campo. Nell’ufficio di Palermo, per esempio, ci sono cinque tra funzionari direttivi e ispettori, ma ad andare sui luoghi di lavoro è un solo dipendente, a volte insieme a un altro.

“Un ispettore si occupa del contenzioso, cioè segue le procedure nei tribunali”, spiega Lo Conti, “un altro fa la vigilanza sui patronati e uno si occupa delle vertenze collettive. Ci servono altri uomini prima che la ressa cominci”.

Pochi giorni prima che questo si verifichi, è difficile immaginare che le parole di Lo Conti sui controlli, o quelli di Scavone sui centri per l’impiego, trovino ascolto.

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