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I nomi delle strade sono lo specchio del sessismo della società

Una mappa di Parigi del 1890. (Bildagentur-online/Universal Images Group/Getty Images)

La cultura che è all’origine di violenze e discriminazioni nei confronti delle donne non viene insegnata a scuola, ma si perpetua giorno dopo giorno attraverso quello che ci circonda: dai prodotti commerciali a quelli culturali, dalla pubblicità ai giocattoli. Pensando allo spazio pubblico, per esempio, ci si accorge che restituisce a chi lo attraversa quasi solo nomi di uomini: eroi di guerra, compositori, scienziati e poeti sono ovunque, a costante memoria del loro valore.

Da qualche anno a questa parte lo studio dell’urbanistica si è intrecciato con quello della toponomastica di genere e, mentre si pensa a come disegnare città più inclusive, si riflette anche sulla cancellazione storica subita da partigiane, musiciste o scienziate. Con 24 strade a lei dedicate, la donna più celebrata sulle vie d’Europa è Marie Curie, che però non sempre si aggiudica un’intestazione tutta sua: quasi sempre sulle targhe la precede il nome del marito, Pierre. Anche se lui ha un Nobel in meno di lei.

Un promemoria sottile

La piattaforma Mapping diversity, sviluppata da Sheldon Studio e voluta da Obc Transeuropa con altri partner dell’European data journalism network, esamina le mappe di trenta città di 17 paesi europei rivelando che, su 145.933 strade e piazze, il 91 per cento di quelle intitolate a persone sono dedicate a uomini. Basta fare due passi in una qualsiasi metropoli per notarlo. “È un promemoria, sottile ma potente, su chi la nostra società apprezza o ha apprezzato e chi no”, si legge sul sito. A fianco il risultato della ricerca: 4.779 vie intitolate a donne contro 47.842 nomi maschili.

Lo scopo dello studio è raccontare la mancanza di diversità in relazione alle narrazioni. Se è vero che la storia la scrive chi vince, fino a oggi hanno vinto uomini che hanno disegnato le città raccontando il passato attraverso il loro punto di vista. Una prospettiva da cui non vengono osservati, e tanto meno celebrati, i traguardi scientifici, militari, politici o culturali di donne, identità non binarie e persone non bianche, ma che mette bene a fuoco le martiri o le dee, come Diana e Afrodite.

Sono infatti 365 le vie e le piazze dedicate alla Madonna, spalmate su 25 delle 30 città europee esaminate. La seconda nella classifica generale delle donne e sant’Anna, con 35 strade, accompagnata dalla voce “casalinga” e dal motivo di tanta attenzione: è la madre della capolista. La prima laica (terza tra tutte le donne) è appunto Curie; la seconda, con solo dieci strade, è la scrittrice polacca Stefania Sempołowska (dodicesima nella classifica generale). A separare le due c’è una folta schiera di sante, da Teresa d’Avila a Chiara d’Assisi.

Per fare un confronto con gli uomini, i più popolari sono san Pietro, san Paolo e Ludwig van Beethoven (a cui sono dedicate 26, 23 e 18 strade o piazze). Numeri bassi se comparati con quelli di Maria e Anna, dovuti al fatto che la platea di uomini a cui sono state intestate strade o piazze è larghissima, dal momento che tra i meritevoli c’è anche l’immaginario Frankenstein o, peggio, il gerarca fascista Aldo Tarabella. Nessuno escluso quindi, mentre lo spazio delle donne, anche quando sante, resta angusto e le percentuali insignificanti.

Tra le capitali, la città più inclusiva in Europa è Stoccolma con solo il 19,5 per cento delle strade intitolate a donne. È seguita da Madrid (18,7), Copenaghen (13,4 per cento) e Berlino (12,2 per cento). In fondo alla classifica ci sono Praga (4,3 per cento) e Atene (4,5 per cento).

L’Italia dal canto suo ha il 6,6 per cento di vie dedicate a donne: su 24.527 strade sono 1.626, ma se non si contano quelle dedicate alla Madonna, ne rimangono 959: persone come Rita Levi Montalcini, Oriana Fallaci, Lina Merlin o la ciclista Alfonsina Strada danno il nome a una via ciascuna e Margherita Hack non c’è. A spopolare all’estero è Maria Montessori: quattro strade di cui una a Barcellona e una a Vienna. La seconda laica più celebrata oltre i confini è Anna Magnani, l’attrice di Roma città aperta ha una via a Bruxelles. L’italiano più inflazionato all’estero è, forse ovviamente, Cristoforo Colombo: undici città d’Europa lo hanno reso immortale con gloriosi lungomare e grandi piazze. Lo seguono Galileo Galilei e Dante.

Non mancano, tra street, rue, strasse e carrer le scrittrici Elsa Morante, l’attrice Gaby Sylvia, la cantante Giuseppina Medori, la pilota Lella Lombardi e la pittrice Maddalena Corvini. Non pervenuta, all’estero, la premio Nobel Grazia Deledda che è già ricordata di rado in patria come anche le politiche Nilde Iotti, Carla Capponi e Miriam Mafai. E sono ancora meno le scienziate, le ingegnere, le sportive o le giornaliste. Troviamo però Emanuela Loi, scorta del giudice Paolo Borsellino, e le stelle di un tempo: Wanda Osiris, Silvana Mangano, Bice Valori, Dalida ed Emma Gramatica. Ma hanno circa una strada l’una. E periferica per giunta.

Fornire modelli

“Le donne non hanno avuto visibilità negli spazi pubblici e tale esclusione è evidente nella toponomastica”, commenta Maria Pia Ercolini, fondatrice di Toponomastica femminile, un’associazione che vuole restituire visibilità alle donne che hanno contribuito a migliorare la società. “Fornire modelli visibili accresce l’autostima delle ragazze”, spiega, “e la violenza di genere dipende dal fatto che le donne vengono percepite come oggetti e proprietà, per questo è fondamentale restituire il loro operato a tutti: le bambine scoprono ambizioni e desideri attraverso la storia e i bambini recepiscono il valore delle donne”.

Insieme all’Associazione nazionale comuni italiani (Anci), Ercolini ha avviato la campagna “tre donne, tre strade” che ogni 8 marzo promuove l’intitolazione di spazi cittadini a tre donne di rilevanza locale, nazionale e internazionale. Per il 2023, la richiesta è di dar spazio alle vittime del terrorismo di stato o alle donne che hanno combattuto per la democrazia e per i diritti in Iran e Afghanistan.

Di certo aumentare la percentuale di strade e piazze dedicate a figure femminili di rilievo non basterà a sradicare una cultura patriarcale che spesso dimentica le donne. Tuttavia le ricerche come questa e le continue attività di organizzazioni e istituzioni che si dedicano alla toponomastica e provano a immaginare un diverso modello di città, sono un passo in avanti verso uno spazio pubblico più inclusivo. Un lavoro importante soprattutto per le prossime generazioni di donne che, leggendosi e ritrovandosi, saranno forse più pronte a prendere coscienza del loro valore e del ruolo che possono avere nella società.

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