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Il Messico usa la tortura per trovare i 43 studenti scomparsi 

Parenti e attivisti marciano a Guadalajara, in Messico, per ricordare il secondo anniversario della scomparsa dei 43 studenti, il 27 settembre 2016. (Hector Guerrero, Afp)

Carlos Canto, 33 anni, è un messicano medio, uno tra più di cento milioni. Fa il maestro, lo stesso lavoro dei suoi genitori. Nel 2014 insegnava a studenti tra i 12 e i 15 anni in una scuola pubblica di Iguala, nello stato di Guerrero. Era un maestro molto amato e aveva un futuro davanti a sé. Era sposato e aveva un figlio di cinque anni.

La mattina del 22 ottobre 2014 la vita di Carlos Canto è cambiata per sempre, in modo drammatico. Diversi soldati hanno fatto irruzione nella casa dei suoi genitori, dove si trovava anche lui, e senza un mandato di arresto l’hanno prelevato con la forza. L’hanno picchiato una prima volta e poi l’hanno portato a casa sua, dove hanno rubato elettrodomestici, vestiti e scarpe. Dopo l’hanno trasferito a Iguala, in un luogo chiuso che hanno trasformato velocemente in una camera delle torture. Con la stessa naturalezza con cui un rappresentante delle forze dell’ordine porta con sé le manette o l’arma d’ordinanza, i soldati hanno tirato fuori dei sacchetti di plastica e li hanno stesi sul pavimento. “È meglio se ci dici tutto quello che sai prima che cominciamo”, ha detto uno di loro. “Dove sono gli studenti? Li hanno consegnati a te, non fare il finto tonto”.

In quel momento Carlos Canto ha capito che i soldati lo avevano collegato alla vicenda dei 43 studenti della scuola normale rurale Raúl Isidro Burgos di Ayotzinapa, scomparsi a Iguala nella notte tra il 26 e il 27 settembre 2014, un avvenimento che ha riportato la violenza in Messico all’attenzione della comunità internazionale. L’insegnante aveva saputo della vicenda solo attraverso i giornali e i notiziari, ma ora viveva in prima persona il contraccolpo di quella notte terribile. Da quando era bambino, gli amici e i familiari lo avevano soprannominato Pato. Chiaramente i soldati lo avevano confuso con un criminale accusato di essere coinvolto nella scomparsa degli studenti, di cui era noto solo il soprannome: Pato. Non c’erano altri indizi o collegamenti.

La fase 2
Carlos Canto ha spiegato che non era lui il Pato che cercavano, ma le sue suppliche non sono servite a niente. I soldati gli hanno legato mani e piedi e lo hanno picchiato in gruppo. Lo hanno fatto stendere a terra e l’hanno avvolto in una coperta presa da casa sua. Dopo averlo ridotto all’immobilità totale, gli hanno messo un sacchetto di plastica in testa per impedirgli di respirare. Quando hanno visto che non parlava, lo hanno trasferito a Città del Messico, a due ore e mezzo da Iguala.

“Benvenuto alla fase 2”, ha detto uno dei soldati quando Canto è arrivato nella struttura militare. Con ostinata perizia i soldati gli hanno inflitto scariche elettriche sullo stomaco, sui testicoli e su altre parti del corpo. Dopo la “fase 2” è arrivata la “fase 3”. Durante una delle scariche il suo corpo ha fatto un balzo di più di un metro. Il martirio si è prolungato per diverse ore, lasciandolo in uno stato di semincoscienza e incapace di camminare.

Alla fine, la mattina del 23 ottobre, Canto è stato portato davanti alla procura generale della repubblica (Pgr). Lì ha firmato una dichiarazione. Ha detto di essere al corrente dei fatti e ha confessato di conoscere i membri del gruppo criminale che aveva attaccato e fatto sparire i 43 studenti. Quello stesso giorno Canto è stato sottoposto a una visita medica in cui sono state rilevate più di trenta lesioni. Gli è stata prescritta una radiografia al torace e una valutazione da parte di un traumatologo.

Ascoltare o leggere le testimonianze delle persone torturate significa entrare nelle oscure segrete del governo messicano

Finora la comunità internazionale sa solo che, nella notte tra il 26 e il 27 settembre 2014, tre studenti sono stati uccisi e 43 sono scomparsi a Iguala. In questi anni le immagini strazianti dei genitori che supplicavano di poter rivedere i loro figli vivi, come quelle della Madri di plaza de Mayo in Argentina, sembravano l’apice dell’orrore vissuto quotidianamente in Messico. Ma gli abusi commessi da diverse istituzioni del governo messicano non si sono fermati quella notte. Anzi, si sono susseguiti per più di due anni in una lunga catena d’impunità. Al punto che oggi è difficile distinguere cosa indigni di più, se gli omicidi e la scomparsa forzata degli studenti o l’uso sistematico della tortura come strategia di stato per far passare l’idea che i presunti colpevoli sono in prigione ed evitare d’indagare e punire l’esercito e la polizia federale per il loro coinvolgimento nei fatti di Iguala.

Un ordine dall’alto
Il maestro Carlos Canto è solo uno dei 94 detenuti accusati di essere coinvolti nella scomparsa dei 43 studenti della scuola di Ayotzinapa. In seguito ai referti medici che indicavano segni di tortura, la Pgr ha dovuto applicare la prova prevista dal protocollo di Istanbul (un documento adottato dalle Nazioni Unite nel 2000 per accertare possibili casi di tortura o trattamenti crudeli e inumani). Ascoltare o leggere le testimonianze delle persone torturate significa entrare nelle oscure segrete del governo messicano, dove i torturatori non sono pochi cani sciolti che agiscono di testa loro. Tutto indica che si è trattato di un ordine dall’alto e generalizzato, rivolto alle principali forze dell’ordine del governo federale per chiudere il caso, a qualsiasi costo.

Secondo i documenti interni della Pgr, dal giugno del 2015 al settembre del 2016 sono state aperte 66 indagini contro funzionari pubblici della marina, della polizia federale e della polizia federale ministeriale, tra cui cinque donne, per la tortura inflitta ai detenuti in relazione al caso dei 43 studenti scomparsi. Tra gli indagati per le torture a Carlos Canto ci sono anche due funzionari del ministero della marina. Nel settembre del 2015 la Pgr ha stabilito che, su 66 fascicoli aperti, c’erano prove sufficienti della partecipazione alle torture di almeno 19 funzionari pubblici. Ma fino al settembre del 2016 nessuno è stato punito. Altri undici funzionari pubblici sono indagati per abuso di autorità, negligenza e arresti illegali legati al caso.

Le scariche elettriche sui genitali, sul palato o sull’ano, e la violenza sessuale contro i detenuti, uomini e donne, sono pratiche comuni nelle carceri messicane. È difficile distinguere se gli episodi raccontati dalle vittime siano avvenuti nella tristemente celebre prigione di Abu Ghraib, in Iraq, nelle galere della marina, della polizia federale o nella stessa Pgr in Messico. La crudeltà ha un’agghiacciante tendenza a somigliarsi in ogni parte del mondo.

Il caso dei 43 studenti scomparsi a Iguala è una ferita aperta, che ha infettato lo stato messicano

Dopo i fatti di Iguala il governo messicano ha arrestato più di 120 presunti colpevoli. Secondo lo schema descritto, una buona percentuale si è autoaccusata e ha “confessato” di aver partecipato all’attacco. Alcuni hanno perfino detto di aver ucciso e bruciato gli studenti. Nessuna di queste confessioni è corredata da dati attendibili per localizzare gli studenti scomparsi. La versione ufficiale fornita dal governo messicano, secondo cui gli studenti sarebbero stati attaccati su ordine del sindaco di Iguala, José Luis Abarca, e poi uccisi e bruciati in un immenso rogo umano, è stata smentita dalle indagini scientifiche della squadra argentina di antropologia forense e dal gruppo interdisciplinare di esperti indipendenti della Corte interamericana dei diritti umani (Cidh). La verità su quanto è avvenuto quella notte del 2014 e sul luogo in cui si trovano gli studenti ancora non c’è. Il 10 novembre una nuova commissione della Cidh andrà in Messico per proseguire le indagini sul caso.

Il Messico è una delle quindici economie più importanti del mondo. Non solo la tortura è vietata dalla costituzione, ma lo stato ha firmato diverse convenzioni internazionali per combatterla e si è impegnato a prevenirla e punirla. Nel 1986 il Messico firmò la convenzione contro la tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumane o degradanti, adottata dall’assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1984. Nello stesso anno il paese firmò anche la convenzione interamericana per prevenire e punire la tortura.

Se il governo non affronterà e risolverà dall’interno del paese la scomparsa degli studenti e lo scandalo della tortura usata sistematicamente per poter ottenere confessioni necessarie a chiudere il caso, potrebbe essere chiamato a rispondere davanti alla giustizia internazionale.

Il caso dei 43 studenti scomparsi a Iguala è una ferita aperta, che ha infettato lo stato messicano incapace di garantire che le istituzioni, responsabili in teoria di garantire lo stato di diritto e proteggere i cittadini, rispettino la legge. Da due anni Carlos Canto è in prigione, accusato di aver commesso un crimine senza neanche una prova, mentre i suoi torturatori restano in libertà e indossano l’uniforme e i distintivi della marina.

(Traduzione di Francesca Rossetti)

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