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Abbiamo trascurato gli arsenali atomici

La guerra atomica è roba vecchia, un fantasma che appartiene agli anni cinquanta e sessanta e settanta del secolo scorso. Di quella minaccia s’è parlato tanto, all’epoca, sui giornali, nei libri, nei film, per le strade. Poi ci siamo convinti che c’erano persone sagge che trattavano, patteggiavano, controllavano, e gli arsenali atomici hanno smesso di essere in cima alle preoccupazioni del genere umano. O comunque siamo passati a trepidare per altro, soprattutto per il terrore seminato perfino in casa delle grandi potenze. Così le strategie terroristiche hanno oscurato il terrore della bomba.

È vero, a volte qualcuno ci ricorda che le armi dell’apocalisse sono pur sempre da qualche parte. Ma quella preoccupazione tutto sommato è usurata, al massimo ci innervosiamo un poco ora per l’Iran, ora per la Corea del Nord. Di fatto il futuro, se proprio vogliamo fare i catastrofici, ce lo immaginiamo segnato da vane sanguinosissime guerricciole locali al terrorismo, da eccidi di gente inerme in luoghi pubblici a opera di persone superarmate, da massacri dentro chiese e sinagoghe alternati a massacri dentro moschee. Ma le atomiche no. Eppure gli arsenali sono lì, per mare e per terra. E il loro potenziale distruttivo è assoluto. E c’è poco da consolarsi pensando: il più, meno male, è in mani sicure. Non ci sono mani al mondo di cui possiamo dire che sono sicure.

Questa rubrica è stata pubblicata il 10 febbraio 2017 a pagina 12 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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