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In Francia la campagna presidenziale mette fine al bipartitismo

Il comizio di François Fillon a Parigi, il 5 marzo 2017. (Geoffroy Van Der Hasselt, Afp)

Raramente una campagna per le presidenziali francesi ha riservato una tale quantità di sorprese e di incertezza. Per François Fillon, il candidato uscito largamente vincitore dalle primarie della destra e del centro, il voto si annunciava come una formalità sulla strada per l’Eliseo: la sinistra era smarrita dopo la rinuncia del presidente uscente François Hollande a ripresentarsi, e la vittoria alle primarie socialiste di Benoît Hamon, il candidato più a sinistra, sembravano garantirgli i voti degli elettori più moderati.

E invece Fillon, invischiato in una vicenda di abuso d’ufficio, non solo non decolla nei sondaggi, ma è stato superato dall’outsider di centrosinistra ed ex ministro dell’economia Emmanuel Macron nelle intenzioni di voto al primo turno (21 per cento contro 24 per cento), che si terrà il 23 aprile. La leader del Front national (Fn, estrema destra) Marine Le Pen è invece stabilmente in testa per quanto riguarda le intenzioni di voto al primo turno (26 per cento), ma al secondo rischia di essere battuta sia da Macron sia da Fillon.

Sempre secondo i sondaggi, Macron è dato favorito sia contro Le Pen sia contro Fillon al secondo turno, previsto per il 7 maggio. Il candidato indipendente approfitta delle sventure di Fillon e dell’accelerata impressa alla sua campagna con la presentazione del suo atteso programma.

Il disincanto degli elettori
I sondaggi non prendono in considerazione l’ipotesi di un secondo turno Macron-Hamon poiché appare improbabile che entrambi riescano a superare Marine Le Pen. Il voto di centrosinistra e di sinistra dovrebbe infatti ripartirsi tra Macron, Hamon (dato al 14,5 per cento) e il candidato vicino ai comunisti, Jean-Luc Mélenchon (dato all’11 per cento). Le discussioni su un possibile accordo di desistenza di Mélenchon a favore di Hamon si sono concluse con un nulla di fatto, e Mélenchon punta a ripetere in Francia il successo di Syriza in Grecia: approfittare del disincanto degli elettori per la gauche di governo e diventare la principale forza a sinistra.

La situazione quindi a oggi è la seguente: Marine Le Pen dovrebbe giungere in testa al primo turno ed è probabile che al ballottaggio affronti Emmanuel Macron. Poiché appare difficile che tutti gli elettori di centrodestra la votino al secondo turno, Macron dovrebbe essere eletto presidente, con oltre il 60 per cento dei voti. Questo naturalmente salvo sorprese, che non sono mancate e potrebbero ancora capitare, al punto che molti esperti rifiutano di fare pronostici.

Fillon ha dichiarato che parteciperà lo stesso alle elezioni e ha accusato la magistratura di aver organizzato un omicidio politico contro di lui

Le probabilità che questo scenario si realizzi sembrano aumentare a mano a mano che passano i giorni e che la situazione di Fillon si fa più difficile: il 1 marzo l’ex primo ministro ha annunciato di essere stato convocato per il 15 marzo – due giorni prima della scadenza per presentare le candidature alle presidenziali – dai giudici del pool finanziario di Parigi, nell’ambito di un’inchiesta su un uso improprio di fondi pubblici. È accusato di aver pagato uno stipendio alla moglie Penelope per un incarico fittizio da assistente parlamentare.

Fillon ha dichiarato che parteciperà lo stesso alle elezioni e ha accusato la magistratura di aver organizzato un “omicidio politico” contro di lui. Ma le conseguenze si sono fatte subito sentire: nel giro di 48 ore sono arrivate le dimissioni di una ventina di protagonisti e di collaboratori della sua campagna, a cominciare dal portavoce Thierry Solère e dal tesoriere Gilles Boyer, mentre parecchi dirigenti del partito (Libération ha addirittura lanciato un contatore delle defezioni) hanno cominciato a prendere le distanze da un candidato sempre più difficile da difendere e sempre più arroccato su una posizione insostenibile.

Il piano alternativo
Molti ricordano che Fillon, che si era presentato alle primarie come il candidato della “moralità”, aveva dichiarato che avrebbe rinunciato a presentarsi se fosse stato indagato. Uscito largamente in testa dalle primarie (ha preso più di 2,5 milioni di voti), Fillon è legittimato dal voto dei simpatizzanti di centrodestra e lo statuto del suo partito, Les républicains (Lr), non prevede nulla nel caso il vincitore rinunci.

Per dimostrare che gode ancora del sostegno degli elettori di centrodestra Fillon ha organizzato una manifestazione il 5 marzo a Parigi, alla quale hanno partecipato “più di 200mila persone” (circa 40mila secondo la polizia). Sotto una pioggia battente ha riaffermato la sua intenzione di “andare fino in fondo”, aggiungendo: “Nessuno può oggi impedirmi di essere candidato”, una formula ribadita la sera su France 2.

Mentre Fillon punta sul fatto che l’elezione è, come diceva il generale De Gaulle, “l’appuntamento tra un candidato e i francesi”, nel quale poco contano gli apparati di partito, è sempre più evocata l’ipotesi di un piano alternativo: l’intervento di un altro candidato. Giunto secondo nel ballottaggio delle primarie del centro e della destra, il sindaco di Bordeaux Alain Juppé ha dichiarato il 6 marzo che non è disponibile a fungere da sostituto. “È troppo tardi”, ha dichiarato, criticando l’“ostinazione” di Fillon, la “radicalizzazione” della sua base e ammettendo di non essere in grado di “incarnare il rinnovo che vogliono i francesi”. Eppure Juppé avrebbe le sue chances: un sondaggio pubblicato il 3 marzo indica che se Juppé fosse candidato, giungerebbe in testa al primo turno, davanti a Macron e a Le Pen.

Un nuovo colpo per Fillon e per la destra, condannata ora a sostenere un candidato sempre più traballante e nella quale, a meno che Fillon ce la faccia a diventare presidente – cosa nella quale perfino i suoi faticano ormai a credere –, è probabile che si assista a una resa dei conti che potrebbe spazzare via l’intero gruppo dirigente. La sera del 6 marzo deve riunirsi un comitato politico di Lr per “valutare la situazione” del candidato Fillon e decidere il da farsi. Dopo l’indisponibilità di Juppé è probabile che il comitato constati di non avere alternative a Fillon.

Le Pen e Macron stanno vincendo la loro scommessa: far fuori i vecchi partiti e finirla con il sistema della quinta repubblica voluta da De Gaulle

Un altro insegnamento di questa campagna è che non tutti i candidati sono uguali dinanzi alle vicende giudiziarie: mentre Fillon affonda man mano che l’inchiesta in corso avanza, Marine Le Pen rimane stabilmente in testa alle intenzioni di voto nonostante la sua situazione giudiziaria sia anche più grave. Lei e il padre sono indagati in Francia per aver occultato al fisco una parte del loro patrimonio di famiglia, mentre ben 13 dirigenti del Front national sono sotto inchiesta per truffa e ricettazione per aver messo in piedi un sistema di false fatture che servivano a finanziare il partito.

Il parlamento europeo ha per parte sua multato diversi eurodeputati dell’Fn per aver usato fondi destinati agli assistenti per stipendiare i propri dipendenti (la capogabinetto e la guardia del corpo di Marine Le Pen sono stati arrestati), e ha revocato l’immunità parlamentare della leader dell’Fn per aver twittato nel 2015 alcune immagini di violenze compiute dai militanti del gruppo Stato islamico. L’Fn è anche sospettato di aver ricevuto soldi dal governo russo in cambio del sostegno politico all’annessione della Crimea da parte di Mosca.

Marine Le Pen ha dichiarato di non voler rimborsare l’europarlamento, rifiuta (contrariamente a Fillon) di essere sentita dagli inquirenti (come Fillon) prima del secondo turno delle legislative (il 18 giugno), minaccia “i funzionari ai quali un personale politico con le spalle al muro chiede di usare un potere dello stato per sorvegliare gli oppositori” e denuncia “un complotto” ordito dai magistrati. Ma questo atteggiamento non sembra turbare i suoi sostenitori, complice anche il fatto che una parte delle vicende riguarda l’odiata Europa: il 78 per cento dei simpatizzanti dell’Fn ha infatti dichiarato che la propria scelta è “definitiva”. Un numero ben più alto di quelli – mai più del 55 per cento – che affermano la stessa cosa per quanto riguarda gli altri candidati.

Se si conferma la tendenza in corso, queste presidenziali avranno sancito un fenomeno inedito nella politica del dopoguerra francese: la fine del ruolo di primo piano dei due partiti sui quali si è basata finora l’alternanza politica – gollisti e socialisti – a favore dell’estrema destra e di un inedito coacervo di forze di centro, centrosinistra e liberali. Sia Le Pen sia Macron stanno vincendo la loro scommessa: far fuori i vecchi partiti e farla finita con il sistema sul quale si fondava la Quinta repubblica voluta da De Gaulle. E ogni nuova vicenda che interviene in questa movimentata campagna dà loro un po’ più di ragione.

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