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Il giorno nero della Nintendo, la più grande fabbrica di giocattoli del mondo

Il festival di elettronica E3 a Los Angeles, il 12 maggio 2004. (David McNew, Getty Images)

Lunedì 13 è stato comunicato al mondo dei videogiocatori di tutte le età, degli investitori e di qualche genitore distratto, che ha comunque alzato un sopracciglio, che sabato scorso è morto a 55 anni per un cancro alle vie biliari Satoru Iwata, il presidente della Nintendo. È molto difficile che non sappiate cosa sia la Nintendo, e se siete nati dagli anni settanta in avanti è impossibile. Oggi è un giorno particolarmente triste in un periodo non facile della storia di questa azienda giapponese, unica per una moltitudine di ragioni, e anche per questo oggetto di un culto pluridecennale.

Satoru Iwata a Tokyo, il 17 marzo 2015.

Hanafuda è un mazzo di piccoli cartoncini illustrati con immagini della natura, tra animali, piante, tramonti e soli splendenti, che risale al nostro cinquecento. Il gioco che si gioca con le hanafuda si chiama koi-koi (più o meno “dai, dai”), sembra il ramino e si presta volentieri all’azzardo. Nel 1889 Fusajirō Yamauchi apre a Kyoto un piccolo laboratorio di produzione di mazzi di carte hanafuda, che per secoli erano state vietate e relegate nel mondo dell’illegalità, caratterizzate però da disegni originali e preziosi.

Le carte hanno successo: prendono piede prima nelle bische e nei bordelli gestiti dalla yakuza, poi come passatempo per i giapponesi comuni. Nel 1929 Yamauchi va in pensione e lascia l’azienda al genero. A metà novecento il genero di Yamauchi ha un malore, e chiede al nipote di prendere il suo posto. Hiroshi Yamauchi è l’uomo che raccoglie in eredità una piccola fabbrica di carte e la trasforma nel gigante che conosciamo. I giocattoli compaiono già negli anni sessanta, i giochi elettronici negli anni settanta. La Nintendo è questo: una fabbrica di carte prima e giocattoli poi. Questa è la prima differenza notevole tra questo e gli altri produttori di console e videogiochi.

Hiroshi Yamauchi diventa un colosso del panorama imprenditoriale giapponese e non solo. Tra le altre cose, l’uomo sotto la cui dirigenza sono nati Mario e il Gameboy, è poco reperibile. Si dice che non ami i videogiochi, che non li capisca e non ci giochi mai. È storicamente impossibile intervistarlo. Uno dei pochi che riesce a parlarci a lungo e con calma è uno statunitense appassionato di go (che è insieme una disciplina zen e più o meno un equivalente giapponese degli scacchi), che gli fa delle domande con il pretesto di alcune partite, o viceversa.

Con la spinta creativa di Shigeru Miyamoto, padre di Mario e molto altro, la Nintendo cresce moltissimo soprattutto negli anni ottanta e novanta. Ma per raggiungere il podio come uomo più ricco del Giappone, Yamauchi ha bisogno della rivoluzione realizzata dal primo presidente della Nintendo senza legami familiari di sangue o acquisiti con lui, cioè Satoru Iwata. Teniamo presente che la Nintendo non è la Sony, non è un grande gruppo industriale di Tokyo che produce anche contenuti videoludici; non è nemmeno la Microsoft, un colosso informatico della West coast degli Stati Uniti. La Nintendo è un’azienda quasi esclusivamente familiare del Kansai, la regione meridionale dell’Honshū, l’isola principale dell’arcipelago nipponico.

Si va in Kansai per vedere i ciliegi in fiore, i templi di Kyoto e di Nara, o mangiare l’okonomiyaki a Osaka. Al sud fa caldo, è tutto un po’ più lento, la gente è più amichevole e casinista, i mezzi pubblici sono più scalcagnati, i ristorantini spesso non sono un granché ma hanno un’atmosfera adorabile. Per capirci, immaginate un incrocio tra Torino e la Puglia. La Nintendo è anche questo: una grande azienda di provincia, gelosa della propria identità e per niente determinata a mettersi sullo stesso piano degli altri.

Satoru Iwata, al centro, prova la Wii al festival E3 di Los Angeles, il 9 maggio 2006.

È sotto Satoru Iwata che la Nintendo produce la console portatile DS nel 2004 e soprattutto la rivoluzione copernicana della Wii nel 2006: la prima è la rinascita del Gameboy, la rifondazione di una tradizione di giochi portatili soprattutto per bambini che è e rimane da sempre appannaggio della Nintendo; la seconda è un ritorno alle origini dei videogiochi, quando erano degli accessori per il televisore, destinati a tutti quelli che vicino al televisore ci stavano comunque.

La Wii è stata la presa di coscienza del fatto che i videogiochi erano diventati un linguaggio per iniziati, e che la tecnologia contemporanea permetteva invece di superare ogni barriera anagrafica per metterli nelle mani della famiglie, trasformarli in strumenti di socialità facili e disponibili, allargare il senso del gioco a forme di fitness e miglioramento individuale, coinvolgere fasce sociali prima di allora ignorate.

Per capire come e quanto la Nintendo sia diversa dagli altri basta prendere in mano una delle loro macchine e guardarla. Tutti i produttori di dispositivi elettronici al mondo in questi anni hanno asciugato le loro forme fino all’eccesso. Oggi siamo alle lame di alluminio e vetro degli smartphone, lucide e lussuose tanto che sembra un peccato maneggiarle con troppa convinzione. Un Nintendo DS è l’antitesi di tutto questo. Ci sono ancora controlli a slitta, analogici, come quello del volume; c’è il 3D senza occhialini, che funziona bene, consuma poco e non è morto come tutti gli altri 3D; ci sono batterie che durano giorni, mentre per qualsiasi altro dispositivo portatile quello delle batterie è un problema; c’è un senso di compattezza plasticosa che mette a proprio agio, fa venire voglia di usare a piacere.

La Nintendo pensa e ha sempre pensato i videogiochi come espansione dei giocattoli. Agli occhi di chi è abituato ai videogiochi contemporanei, alla loro grafica e al loro linguaggio, un titolo molto amato dai fan Nintendo – prendiamo Pikmin ad esempio – può sembrare un sciocchezza infantile piena di colori. In realtà maestri come Shigeru Miyamoto e Satoru Iwata (nato come sviluppatore di giochi per l’azienda, prima di esserne assorbito) hanno costruito un’idea di videogioco che si basa su equilibri sottilissimi, insieme molto larghi e disponibili per i giocatori di tutte le età, e straordinariamente accurati e puntuali per gli appassionati.

Chi gioca vede solo facilità, bellezza, morbidezza di linee e dinamiche; chi guarda più in profondo vede idee di progetto innovative e solidissime, nascoste nell’ergonomia generale. Con questa ricetta l’azienda di Kyoto ha saputo godere per decenni insieme di un successo molto popolare e di un fanatismo rigoroso da maniaci.

La console Game Cube della Nintendo esposta all’E3 di Los Angeles, il 18 maggio 2005.

La notizia della morte di Iwata non arriva in un momento facile. All’ultimo E3 di Los Angeles, mentre altri si scannavano a suon di novità presenti e future, la Nintendo ha mostrato qualche delizia per un pubblico ristretto, facendo intendere che dietro l’angolo ci fossero sorprese. L’attuale console domestica Wii-U, uscita da qualche anno, è stata un passo falso, soprattutto se si pensa che viene dopo la valanga Wii. Facendo mente locale sul numero di case in cui ciascuno di noi ha visto la Wii, e il fatto che già solo la parola Wii-U lascia un po’ confusi, si coglie molto bene il problema.

Per il 2016 è attesa una nuova piattaforma che potrebbe di nuovo cambiare tutto, rimescolare ulteriormente le carte. C’è chi dice che sarà una console e insieme un tablet, oppure una console e insieme un cellulare. Ma sono solo voci: la Nintendo non parla, non svela, non fa trapelare, non lo ha mai fatto e non lo farà mai, è il suo lato piemontese.

Contemporaneamente l’azienda ha ufficializzato accordi con Universal per la costruzione di parchi a tema con le sue proprietà intellettuali. E questa è un’apertura che ha dato insieme l’impressione di una corsa ai ripari, della fine di una gelosia cronica nei confronti del marchio, e di enormi potenzialità di espansione e ricavi futuri. È indubbio che l’idea di un parco con un Mario alto alcune decine di metri, da visitare come fosse una Statua della libertà, fa girare la testa.

Qualche giorno fa è uscito nei negozi Yoshi woolly world, un videogioco a piattaforma che ha per protagonista il draghetto Yoshi in un mondo di lana interamente fatto a maglia. L’idea di usare i tessuti in contesti videoludici, rimandando al mondo reale tramite superfici e consistenze, e non imitandolo direttamente, non è originale: altri l’hanno sfruttata anni fa con risultati sorprendenti. Ma la Nintendo non è interessata a quello che fanno gli altri, se non in termini di quote di mercato e ricavi. Se la sua versione di un gioco fatto di lana arriva sei anni dopo LittleBigPlanet (Media Molecule, Sony), non importa. Perché in una certa misura quello che non è della Nintendo per la Nintendo non esiste. Così Yoshi woolly world, presentato in un momento in cui altri avrebbero perso la compostezza per fare qualcosa di clamoroso, è sicuramente prevedibile e non sconvolgente, ma anche bello, classico ed elegante come sanno fare solo a Kyoto.

Nei negozi di giocattoli giapponesi sono comunque in vendita i mazzi di hanafuda Nintendo per sfidarsi a koi-koi tra amici. Costano poco e sono fatti benissimo.

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